DA SODOMA A HOLLYWOOD 21 – "Go West" di Ahmed Imamovic (Concorso) e "Breakfast on Pluto" di Neil Jordan (Fuori Concorso)

Lasciano il segno sulla terza giornata del Gay and Lesbian Film Festival il primo film bosniaco a parlare apertamente di omosessualità e l'ultimo, geniale, imprevedibile lavoro dell'autore di "La moglie del soldato".

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La guerra che insanguinò la ex Jugoslavia negli anni Novanta continua a catalizzare l'attenzione del cinema. Qualche anno fa No Man's Land di Danis Tanovic aveva mostrato con intelligenza e lucidità il travaglio di due soldati bosniaci che cercavano di scampare ai bombardamenti che stavano affliggendo la loro terra. Con Go West, in concorso al Gay and Lesbian Film Festival di Torino, Ahmed Imamovic sceglie di raccontare una storia simile, pur con un punto di vista leggermente diverso: la fuga di due uomini, il serbo Milan e il bosniaco e musulmano Kenan, legati da un rapporto d'amore omosessuale, in fuga dalla guerra verso la salvezza e la libertà, "verso Ovest". Catturati dalle milizie serbe, Kenan è costretto a travestirsi da donna e a spacciarsi per la moglie del compagno, pena la condanna a morte.

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Commovente riflessione sulle lacerazioni che una guerra è in grado di produrre alle persone, Go West ha i suoi punti di forza nella rappresentazione del tenue affetto che lega Milan a Kenan, e che in seguito quest'ultimo, dopo la temporanea sparizione dell'amante, riversa su una donna, Ranka, e nel tono da elegia tragica che il film assume nella seconda parte, quando le contraddizioni del conflitto esplodono con inusitata ferocia, trascinando i personaggi a confrontarsi con l'orrore dell'assenza e della morte. Se il film si perde a tratti nell'autocompiacimento e nel tentativo di ricalcare un po' troppo forzatamente la tradizione cinematografica dei Balcani (palesi i riferimenti al cinema di Kusturica, segno che Underground continua a generare proseliti), riesce tuttavia a non smarrire mai l'umore agrodolce che impregna ogni sequenza, regalando al cinema di oggi un talento cristallino che affronta con coraggio sfide impegnative, misurandosi con temi di rilevante impatto emotivo. Non stupisce, quindi, la partecipazione di Jeanne Moreau alla coproduzione del film e il cameo finale con il quale l'anziana attrice dona alla pellicola una potenza evocativa ancora maggiore, accompagnando il lirismo drammatico che si respira fin dall'inizio.

Di tutt'altro genere l'ultimo film di Neil Jordan, Breakfast on Pluto, presentato fuori concorso in anteprima italiana. Travolgente viaggio nell'Inghilterra degli anni Sessanta e Settanta, il film narra le peripezie di Patrick Braden, giovane irlandese che fugge dalla propria città natale e trova riparo in una Londra multiforme ed esplosiva, città dove tutto è possibile e dove gli incontri si sommano agli incontri, coinvolgendolo suo malgrado (ma non sempre) in una serie di avventure grottesche e surreali, dove la propria diversità avrà modo di trovare strade imprevedibili. Il regista irlandese riprende con Breakfast on Pluto i temi già affrontati in La moglie del soldato: il travestitismo, la politica (lo sfondo è la guerra per l'indipendenza dell'Irlanda, culminata con la celebre Bloody Sunday) e la ricerca di una differenziazione morale e "antropologica" dalla società in cui si vive. Affidandosi ad attori ormai consolidati, quali Liam Neeson, Stephen Rea e Ian Hart, ma anche al fascino dandy e ambiguo di un Cillian Murphy in stato di grazia, Jordan raffigura un ambiente in perenne fibrillazione, nel quale Patrick (che verrà presto ribattezzato Patricia "Kitten", cioè "gatta") si muove sguazzando come un pesce, preda di un'inarrestabile brama di vivere. Film "di formazione", quindi, la cui suddivisione in brevi capitoli introdotti da didascalie ricorda il romanzo di formazione per eccellenza, David Copperfield di Dickens. Tra le righe, peraltro, pur nel rutilante susseguirsi di eventi, non può non leggersi una pagina meno schiamazzante (che lo avvicina proprio al romanzo dickensiano): Patrick, infatti, è alla ricerca del padre e della madre, ricerca dolorosa e inesausta che solo nel finale troverà una soluzione, quando il giovane riuscirà finalmente a riconoscere il proprio posto nel mondo.


Sorprende, in Breakfast on Pluto, la maestria visiva di Jordan, la capacità di lavorare con una cura che rasenta la perfezione su ogni sequenza e immagine, invitando lo spettatore e a immergersi in un universo immaginifico e "glam", che ben incarna lo spirito della Londra di quei formidabili anni. Un risultato tecnico di tale valore che spesso sembra adombrare la narrazione, salvo poi tornare al suo servizio per raccontare le vicissitudini di Patrick.

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