Dancing Mary, di Sabu

L’ultimo film di Sabu parla di fantasmi e di crisi esistenziali, mescola citazioni cinematografiche e riferimenti alla cultura orientale. Dall’edizione dell’Asian Film Festival appena conclusa

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Hiroyuki Tanaka ovvero Sabu torna a raccontare storie di fantasmi e di crisi esistenziali nel suo Dancing Mary, un’opera ibrida costruita attraverso l’intreccio di racconti interconnessi e di generi diversi, tra cui l’horror, la commedia, il dramma, il black humour e il fantasy.
Dancing Mary è lo spirito di una donna che “infesta” una vecchia sala da ballo abbandonata, un edificio che per anni ha suggestionato gli abitanti del posto attirando gli interventi di medium e sensitive e che a breve dev’essere demolito per ordine della Yakuza.
La notizia della demolizione diventa la ragione della rivoluzione interiore di Fujimoto (Naoto), un funzionario edile coinvolto nella pratica.
dopo aver trascorso una vita tranquilla e piuttosto monotona, Fujimoto finalmente trova una causa per cui lottare: vuole scoprire il motivo per cui la sala è infestata da presenze paranormali prima che venga distrutta per sempre.
Insieme a lui c’è anche una studentessa dotata di poteri sovrannaturali come quelli del bambino ne Il Sesto Senso, che le consentono di comunicare con la dimensione degli yūrei: nella cultura giapponese sono le anime dei defunti che non riescono a raggiungere l’aldilà perché non hanno ancora risolto le questioni personali di quando erano in vita, allora continuano a vagare in un limbo senza pace.
In questo modo Sabu crea un’esperienza simile a quella di un’avventura grafica, con la differenza che non c’è interazione e utilizza l’alternanza del colore e del bianco e nero per indicare i salti tra il mondo dei vivi e quello degli spiriti.

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La sceneggiatura di Dancing Mary sembra il testo di una leggenda urbana un po’ confusa, contaminata da citazioni cinematografiche e rappresentazioni dell’immaginario orientale, da tematiche che ritroviamo spesso nelle narrazioni giapponesi come la paura di “non essere all’altezza”, di non essere accettato, la frenesia dell’edilizia, il potere delle organizzazioni criminali, la questione sul bullismo, che rimanda a Carrie – Lo sguardo di Satana.
L’ultima opera di Sabu in fondo tratta di questioni esistenziali, di riflessioni sul destino, sulla spiritualità, di personaggi limitati dalle proprie insicurezze, ma che insieme trovano una ragione per cui mettersi in gioco.
Il film si comporta allo stesso modo dei protagonisti, senza prendersi troppo sul serio, gioca sull’inverosimile che incontra il plausibile, sulla realtà che incontra la fantasia, sul dramma che a volte coincide con l’umorismo, sulla commistione dei generi che insieme mantengono accesa l’attenzione durante tutta la visione, rendendola sempre scorrevole.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.2

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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