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Daniel Day-Lewis si apre in vista dell’anteprima di Anemone

In un’intervista rilasciata al New York Times, l’attore inglese offre un raro scorcio sul suo turbolento rapporto con la fama, sulla natura della recitazione e sulla gioia di lavorare con il figlio

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Daniel Day-Lewis non è mai stato a suo agio sotto l’occhio pubblico. Lo testimoniano le sue scarse apparizioni davanti alla stampa, i suoi lunghi hiatus e le sue numerose dichiarazioni, sempre più manifesti accumulati della sua personalità. Alla prima intervista esclusiva per la stampa in quasi un decennio, rilasciata a Kyle Buchanan per New York Times, Daniel Day-Lewis ha aperto un varco sul suo stato emotivo e i suoi lunghi conflitti con i doveri pubblici. L’occasione è la sua ultima fatica, Anemone, che lo vede protagonista e co-scrittore insieme a suo figlio Ronan (al suo debutto da regista).

Il film, che avrà a breve la sua anteprima alla XXIII edizione di Alice nella Città, vede l’attore 68enne nei panni di Ray, un ex-soldato taciturno che trascorre la propria vita in auto-imposta solitudine nei boschi dell’Inghilterra settentrionale. Improvvisamente la sua pace è disturbata dal fratello Jem (Sean Bean), che spera di riportarlo a casa per affrontare il problematico figlio che ha abbandonato. Ma prima di ciò, i due fratelli dovranno confrontare i loro traumi irrisolti.

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Day-Lewis iniziò a scrivere il film con suo figlio anni fa, quando era ancora fuori dai radar. “Rendendomi conto della possibilità di non riuscire a tornare a lavorare come attore, avevo una sorta di tristezza preventiva che non avrei lavorato con Ronan, perciò ho suggerito che creassimo qualcosa insieme“, ha spiegato nell’intervista.

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Inizialmente, il progetto era stato concepito come cortometraggio, ma si è poi evoluto in modo naturale. Come racconta l’attore stesso, “All’inizio del processo di scrittura, dopo qualche settimana di vita in un capanno con due persone, ci servivano altri personaggi. E così all’improvviso ci siamo trovati a scrivere di gente in città e di scene su strada, e a quel punto avevamo perso la battaglia per contenerlo“. L’attore de Il Filo Nascosto ha poi elaborato sul suo nervosismo all’idea di un progetto inevitabilmente destinato a trasformarsi in una grande produzione. “Un certo terrore è cresciuto dentro di me perché non sapevo se fossi pronto a tornare nel pubblico“.

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Incarnando una certa immagine di attore riservato, intimamente dedito al suo lavoro, si potrebbe descrivere il suo operato come carico di sacralità, una sorta di tempio del dettaglio dove il sacrificio è costantemente un pezzo di sé. Non a caso, ha spiegato di “sentirsi ancora come un adolescente quando ha a che fare con il processo estremamente innaturale dei doveri pubblici“. Si descrive “una persona tranquilla a cui non è mai venuto in mente che in virtù del proprio lavoro, si sta chiedendo attenzione“.

Quindi, interrogato dall’intervistatore sul suo stato emotivo al primo giorno di riprese, ha dichiarato di sentire sempre un’accelerazione del battito alla vista dei caravan e dei cavi dei macchinari. Ma, al contempo, “se il lavoro dei mesi precedenti è stato fatto a dovere, il set dovrebbe dare una sensazione di continuità lavorativa“, conclude.

Pensando all’esordio del figlio, l’attore ha poi riflettuto sulla sua gioventù e su ciò che lo ha spinto a fare il suo lavoro. “In età precoce, ho realizzato di aver bisogno di diventare attore per sopravvivere al mondo. Il cinema, quando l’ho scoperto per la prima volta al collegio, è diventato davvero un santuario per me. In quella scatola illuminata mi sentivo relativamente al riparo da ciò che mi appariva altresì come un ambiente ostile e crudele“.

Buchanan ha colto la palla al balzo, chiedendogli se ancora percepisce il cinema come un santuario. Day-Lewis ha subito chiarito, “il santuario mi è ancora necessario, nulla è cambiato”, ma ha anche descritto con maggiore dettaglio il processo che ha portato alla sua decisione di ritirarsi. “Quando ho fatto quella sciocca dichiarazione — e credimi, me l’avevano sconsigliato sia amici che famiglia — ero molto giù di corda. Non per il lavoro che avevo appena concluso, ma sempre per i miei dubbi sulla mia capacità di vivere nella sfera pubblica”. Ha poi aggiunto, “so che suona come una lamentela da privilegiato. Mi sento immensamente privilegiato a fare il mio lavoro, e capisco il contratto invisibile che si firma per poter entrare a far parte di tutto il meccanismo. Ma non ho ancora trovato un modo di viverne gli aspetti pubblici“.

In conclusione, l’intervistatore l’ha interrogato sul suo stato attuale e sui piani per il futuro. Il tre volte premio Oscar ha risposto di essere orgoglioso di aver avuto modo di lavorare con suo figlio, e che nonostante entrambi i loro nervi siano logorati al momento, attraverseranno questa parte del percorso insieme, rimanendo estremamente grati per l’opportunità. Infine, ha dichiarato: “E so che, nel giro di qualche mese, cercherò di nuovo la mia oasi di tranquillità“.

Qui l’intervista completa.

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