Daniel Day-Lewis, un attore per il Nuovo Mondo
Lincoln è la conferma del legame tra Daniel Day-Lewis e il racconto 'mainstream' del Nuovo Mondo. Come i suoi personaggi che sembrano saldarsi, ora ancora di più alla luce nel film di Spielberg, in una storia cinematografica della fondazione degli Stati Uniti. Incontro in dissolevanza tra realtà e cinema mai così aderente con la filmografia di un attore.
Un Paese costruito sul fango e sul sangue. E' questo il passato dell'America. Ed è questo quello che è accaduto prima che il suo popolo, venuto da terre lontane, si unisse in un unica Nazione. E anche una palude trasformata in una campo di battaglia può essere l'incipit di questa Storia. Inizia così tra cadaveri e baionette l'ultima fatica firmata da Steven Spielberg, l'attesissimo Lincoln. Il 16esimo presidente degli Stati Uniti entra in scena seduto nella penombra sopra dei barili nel campo delle truppe nordiste circondato da soldati di colore. E' il volto e la voce di Daniel Day-Lewis. L’interpretazione, lodata dal pubblico e dai critici, che ha lanciato l'attore inglese, premiato ai Golden Globe, come il papabile vincitore della statuetta come migliore attore protagonista ai prossimi Oscar. Vedremo.
Pensare che questo ruolo all’inizio, come ha raccontato l''Hollywood Reporter', Day-Lewis non l'aveva accettato. Dopo un faccia a faccia con Spielberg, che invece aveva da subito pensato a lui, l'attore inglese aveva più di una perplessità sul personaggio. Lui che del metodo di lavoro ha fatto una sorta di imprescindibile 'missione'. Scrupoloso e ascetico nel preparare ogni interpretazione con una precisione e un'abnegazione che trovano pochi altri esempi tra i colleghi. Al regista di War Horse Day-Lewis ribatteva che la figura di Lincoln l'affascinava da spettatore, ma non si sentiva pronto per interpretarlo perché non lo sentiva dentro. Una visione non certo comune di fare pubblicità a se stesso. Ma certo sintomo di una personalità capace di intendere il mestiere come il punto più alto della recitazione.
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Fortunatamente è andata diversamente. Ma l'episodio è sintomatico del forte carattere di Daniel Day-Lewis. Nato a Greewinch 55 anni fa, che si riscontra anche nella sua filmografia, assai personale e poco canonica: 6 film negli ultimi 15 anni. Con un lungo periodo 'naif' passato a Firenze ad imparare a fare il calzolaio. Quello che sorprende è però quanto il 'Lincoln' Spilberghiano sia l'ennesima conferma, oltre che delle qualità professionali e mimetiche, anche del legame tra Daniel Day-Lewis e il racconto del Nuovo Mondo. Del suo essere uno schermo in carne e ossa su cui alcuni (ottimi) registi hanno saputo proiettare le immagini e le emozioni del loro cinema. Capace di esplodere e rigenerarsi in performance assolute solo sul corpo dell'attore inglese. Come i personaggi interpretati che sembrano saldarsi, ora ancora di più alla luce dell'ultimo Lincoln, in una storia cinematografica della fondazione degli Stati Uniti. Un incontro in dissolevanza tra realtà e cinema mai così aderente con la filmografia di un attore. E' proprio ripercorrendo le tappe di una carriera costellata da pellicole importanti (Nel nome del padre, My Beautiful Laundrette) e due premi Oscar, nel 1990 per Il mio piede sinistro e nel 2008 per Il Petroliere.
Il corpo-schermo di Day-Lewis, illuminato dalla grandezza spirituale di Lincoln, è lo spazio dove la storia americana sembra convergere. Basta ricordare il John Fryer del Bounty, l’esploratore Nathaniel Poe 'Hawkeye' nell’Ultimo dei Mohicani, l’aristocratico Edith Wharton ne L'età dell'innocenza, il colono religioso nella La seduzione del male. E più tardi, al Bill The Butcher’ Cutting in Gangs of New York e il granitico pioniere 'self made man' nel Daniel Plainview in Il petroliere. Una complessità di uomini che, seduti come il monolite di Lincol a Washington, osservano lo scorrere degli eventi tragicamente inermi. Eppure sono figure scavate da una vitalità carsica che di fronte alla grandezza degli eventi vissuti riesce a cristallizzarli come icone di una racconto corale.
Ruoli da predestinato per Day-Lewis, formatosi nella scuola teatrale della Bristol Old Vic School e cresciuto a pane e arte. Figlio del poeta Cecil Day-Lewis e dell’attrice Jill Balcon. Sposato con Rebecca Miller (Giochi d'adulti, A proposito di Henry) figlia dello scrittore Arthur Miller. L'attore di formazione teatrale ha saputo, dunque, con le sue scelte (ri)costruire davanti la macchina da presa le tessere di un racconto senza fine. Ma decisamente coerente. Sono le parole del regista Micheal Mann, che l'ha diretto ne L'Ultimo dei Mohicani, a delinearne con poche parole il profilo "Daniel è un uomo profondamente romantico con dei valori molto forti. E 'una specie di classico, attratto dai valori che scopre nelle cose semplici". Ecco romantico e classico, come le pagine più appassionati e memorabili della storia (non solo del Nuovo Mondo). Come il cinema migliore che ancora ci aspetta.