Daniela Forever, di Nacho Vigalondo
Nuova commedia sci-fi dell’autore spagnolo, che analizza le dinamiche di coppia fra realtà e sogno, facendone terreno della sostanza del reale e dei sentimenti. Dal Bruxelles Fantastic Film Festival

Che siano gli schermi in screencast di Open Windows o i mostri in stile kaiju di Colossal, il cinema di Nacho Vigalondo è sempre questione di trovare punti di connessione emotive e/o sentimentali fra i personaggi che racconta, attraverso chiavi d’accesso non convenzionali ai loro universi interiori. Così accade anche nel suo nuovo Daniela Forever, passato in concorso al BIFFF43, dove Nicolas trova in un farmaco sperimentale che dona il controllo sui sogni lo strumento in grado di fargli rivivere la vita insieme alla compagna Daniela, morta tragicamente in un incidente. La terapia in realtà dovrebbe servire a una dinamica di auto-analisi che gli permetta per il tramite onirico di rivivere le fasi della sua vita che lo hanno portato al presente, ma Nicolas sfrutta volentieri (e in modo truffaldino) l’espediente per reimmergersi nella vita di coppia tanto rimpianta.
Con partecipazione e dolcezza, Vigalondo transita da un presupposto vagamente cronenberghiano a una trattazione da commedia dei sentimenti alla Michel Gondry, e imbastisce ancora una volta una storia sulle dinamiche di coppia. Nicolas ricrea così nel sogno il suo mondo ideale, anche a scapito della verità che pure quella dimensione onirica inizia lentamente a mettergli sotto gli occhi. I suoi tentativi di manipolare lo spazio innescano una dinamica di dominio, in cui l’uomo riforgia a piacimento un rapporto che pure presentava delle crepe. Tanto più, insomma, Nicolas cerca di superare i rimpianti per vivere a fondo quel rapporto perduto, tanto più se ne distanzia dalla reale sostanza scegliendo di privilegiare solo gli aspetti più vicini a una “sua” visione idealistica. Lo sguardo di Vigalondo resta comunque empatico e non privo di una componente simpaticamente ludica nella messinscena: così come Nicolas reinventa il suo mondo, infatti, allo stesso modo il regista-demiurgo plasma un universo malleabile come una casa di bambole, in cui l’idealismo del protagonista si riflette in una realtà poetico-fumettistica (ancora il riferimento a Gondry), minacciata però da inquietanti mura grigie che delimitano gli spazi ignoti della memoria e innescano una dinamica cromatica fra l’universo idilliaco e le sue zone oscure.
Nel contempo, Daniela Forever alterna una vita reale ritratta in formato standard analogico (con una visualità quasi da vecchia vhs) alla dimensione onirica che invece si presenta panoramica e in fullcolor: non per uno sfizio stilistico, ma perché in gioco c’è la percezione del reale, in cui un singolo rapporto, anche se in sogno, può rappresentare tutto il proprio mondo. La riflessione sulle dinamiche dei ruoli dalla coppia si allarga poi a tutto il complesso delle relazioni personali, quelle cercate, le altre evitate fino alle rimosse. Lentamente si dipana un sistema di interazioni che mentre contraddice la volontà di Nicolas, ne mette in discussione anche il ruolo e conduce a un lirico finale. Il romance fantascientifico diventa così una patina sotto la quale si agitano i particolarismi di un universo maschile refrattario a seguire regole che non siano le proprie, anche (e soprattutto) quando si parla di sentimenti. Che però, per loro natura, seguono una verità destinata a emergere comunque e lasciare un’impressione di coinvolgente sensibilità tipica di un autore da non sottovalutare.