Dare accesso alle vite interiori. Sentieri Selvaggi incontra Jonas Carpignano

La redazione premia Carpignano per A Chiara, votato miglior film italiano 2021-2022. Un’occasione per un confronto in grado di approfondire il cinema del regista. Ecco com’è andata

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Jonas Carpignano è stato premiato dalla redazione di Sentieri Selvaggi per A Chiara, votato miglior film italiano 2021-2022. Lo scorso 28 settembre il regista, classe 1984, già vincitore nel 2017-2018 per A Ciambra, è stato al centro di un incontro in cui ha raccontato il suo cinema, nato da una vera e propria immersione nella comunità calabrese di Gioia Tauro.

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In questi anni tu hai costruito una vera e propria famiglia sui set. Il tuo obiettivo era aiutare queste persone, raccontare la loro realtà?
Il mio scopo è realizzare film che aiutino un gruppo di persone a esprimersi. Io non voglio raccontare loro, ma parlare insieme del mondo di cui fanno parte. Allo stesso tempo imporgli la volontà di raccontarsi, vuol dire vederli come noi li vediamo. Koudus e Pio ad esempio non hanno mai sentito la necessità di parlare di sé a livello cinematografico. La loro voglia di vivere questa avventura nasce dal desiderio di fare qualcosa di diverso, di uscire dalla normalità, dai ritmi della loro vita per creare un legame.

La Calabria è una regione fatta di tradizioni e storie. Tu come sei riuscito ad assorbire questo contesto e portarlo sullo schermo?
È vero. La Calabria è un posto molto legato alle tradizioni; il peso del passato si sente sempre. Ma è anche vero che Gioia Tauro appartiene al mondo globalizzato. Per me era fondamentale dare un’immagine del luogo come è adesso e il modo migliore per farlo era non intervenire troppo, ma lasciare spazio allo spettatore di vivere luoghi e momenti così come anch’io li ho vissuti. Gioia Tauro per me non è un laboratorio, io sto lì sempre, appartengo a quella realtà, la metabolizzo. Quindi il confine tra lavoro e vita è molto sottile, io sto sempre lavorando e non sto mai lavorando.

Riprese e montaggio di Lorenzo Levach e Emanuele Rossetti

Nei tuoi film troviamo spesso apparizioni, visioni oniriche, quasi di un’altra dimensione. Che ruolo hanno nel racconto?
Tutto parte dalla necessità di dare accesso alla vita interiore del protagonista. Io ho una sorta di allergia nei confronti dei dialoghi che spiegano troppo. Cerco invece di cambiare registro, di utilizzare un linguaggio che possa comunicare senza dire parole che non appartengono al protagonista. IQuello che mi interessa è dare allo spettatore la possibilità di capire meglio i personaggi e a loro un modo per aprirsi a un pubblico senza dire cose che sentirebbero distanti.

Anche il tema della scelta occupa un ruolo molto importante. Ce ne puoi parlare?
Il discorso della scelta è tutto. Io posso dire di non condividere tutte le scelte dei protagonisti dei miei film. Ma io non voglio che un personaggio faccia quello che farei io. Per me la cosa fondamentale non è condividere la scelta ma capirla. Si tratta di capire come questi personaggi hanno calibrato la propria bussola morale in alcuni momenti cruciali della loro vita. Questa secondo me è la chiave per accorciare le distanze con persone che fanno cose che per noi sono incomprensibili. Questa è la consapevolezza che vorrei portare alla spettatore.

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