Dare voce, mostrare sangue. Jenin, Jenin bandito da Israele

Israele vieta proiezione e distribuzione di Jenin, Jenin, chiedendo anche il sequestro delle copie. Continua l’incubo di Mohammad Bakri, in lotta da vent’anni anni per il suo documentario.

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È scioccante che un regista sia punito per il suo lavoro artistico“, commentavano così i direttori del festival di Berlino Carlo Chatrian e Mariette Rissenbeek la censura e la condanna a Mohammad Rasoulof per il suo There Is No Evil, Orso d’oro alla 70esima Berlinale. Spostandoci dall’Iran ad Israele possiamo dire che è successo di nuovo. Viene nuovamente colpita l’arte e la libertà d’espressione. Questa volta da parte di un paese che si dice democratico, ma che in realtà forse non è così distante dalla definizione datagli da B’tselem recentemente; quella di “regime di apartheid”.

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Jenin, Jenin (2002)

Israele ha vinto la guerra durata vent’anni contro Mohammad Bakri. Il regista è stato condannato per avere raccontato il massacro dei palestinesi nel documenatrio Jenin, Jenin del 2002. Quello vissuto dal regista è un incubo scritto tramite l’inchiostro di Kafka; dove un uomo viene sballottolato di stanza in stanza, di processo in processo, contro una sentenza che sembra già scritta in partenza. Negli anni Bakri ha ricevuto la solidarietà di tanta gente dello spettacolo; da Bertolucci a Martone passando per Mastandrea, ma tutto ciò sembra non esser servito ad evitare la condanna. Pochi giorni fa la corte distrettuale di Lod ha stabilito che le proiezioni e la distribuzione di Jenin, Jenin sono vietate; e che tutte le copie del film vanno sequestrate. Condanna che si aggiunge al risarcimento di 55mila dollari che Bakri deve al tenente colonello Nissan Magnagi; apparso per alcuni secondi nel film durante l’assalto al campo profughi. Con questa sentenza, definita dal regista antidemocratica e antiumana, di fatto Israele zittisce le testimonianze dei sopravvissuti. Cerca di far scomparire il dolore e la testimonianza di un autore che non ha mai fatto accuse dirette nel film; che ha dato voce e mostrato sangue, perché si deve dare la possibilità di essere ascoltati e il sangue, alla fine, è rosso per tutti.

 

 

Bakri si appellerà contro la sentenza; farà ricorso alla Corte Suprema che nel 2006 l’aveva assolto stabilendo che però il film costituiva una diffamazione. Nel frattempo l’arte prepara un’Intifada. Si ribella con l’aiuto dello streaming e della rete che può tutto. È infatti possibile da qualche giorno, sia su Youtube che su Vimeo, vedere gratuitamente il documentario di Bakri. Un atto di ribellione verso l’ingiustizia antidemocratica di Israele.

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