Dark Places – Nei luoghi oscuri, di Gilles Paquet-Brenner

Per quanto Charlize Theron tenti di farsi carico del film, Dark Places finisce per disperdere tensione e, soprattutto, coerenza narrativa, smarrendosi nel suo gioco di scatole cinesi

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No, ventotto anni dopo il massacro della sua famiglia, la madre e due sorelle brutalmente assassinate e il fratello maggiore in carcere con sopra le spalle l’accusa del delitto, per Libby Day non ci sono sogni. Solo una meschinità ipocrita, cresciuta nelle viscere, come fosse un organo, alla quale aggrapparsi, vendendo il proprio dolore al collettivo senso di compassione e morbosità, in cambio di un contributo per continuare a vivere una vita alla deriva. Fino a quando, costretta a volgere lo sguardo verso l’immagine di un’altra verità possibile, quella che vorrebbe scagionare il fratello che lei stessa ha condannato, il vuoto che si è costruita attorno, quasi fosse un cerchio magico contro il male, inizia ad incrinarsi, riaprendo le stanze del passato.

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La trama di enigmi, linee temporali incrociate, relazioni disfunzionali e squarci di uno spaccato sociale irrimediabilmente malato, che Gilles Paquet-Brenner rielabora per il grande schermo a partire dal romanzo di Gillian Flynn, la stessa autrice di Gone Girl, si traduce in un thriller psicologico che, nelle sue battute iniziali, riesce a mantenere una qualche efficacia, almeno finché prova a farsi sguardo che si posa sul mondo aderendo al corpo scisso dal dolore di Charlize Theron. Ma per quanto la Theron tenti di farsi carico del film, ben presto Gilles Paquet-Brenner si trova a non saper da che parte affrontare la complessità della materia del romanzo e Dark Places – Nei luoghi oscuri finisce per disperdere tensione e, soprattutto, coerenza narrativa, smarrendosi irrimediabilmente nel gioco di scatole cinesi sul quale vorrebbe, invece, poggiare la sua struttura.

A partire dal ribaltamento prospettico offerto dalle teorie partorite in seno al Kill Club, circolo per “appassionati” di fatti di sangue e morbosi di ogni genere che diventa la nuova fonte di sostentamento di Libby, le traiettorie tra passato e presente, tra memoria e ricerca della verità messe in moto, come al solito impeccabilmente, da Charlize Theron sotto il nume tutelare di Nicolas Hoult, diventano progressivamente una giostra senza centro, dove si continuano a collezionare spunti senza riuscire ad approfondirne nessuno. Risulta piuttosto difficile digerire l’affollamento di personaggi irrisolti, il peggior trattamento è forse riservato ad una pur magnificamente luciferina Chloë Grace Moretz, così come sono imperdonabili le soluzioni a dir poco troppo sbrigative necessarie a far combaciare le tessere del puzzle, una su tutte, il serial killer che s’immagina salvatore degli oppressi e che Paquet-Brenner liquida con un paio di sequenze accontentandosi di una spicciola misteriosità dal sapore lynchiano. Ma il problema più vistoso di Dark Places, che dice volersi muovere lungo il solco aperto da film come Prisoners eppure va tutt’altra parte, sta proprio nella sua sorda incapacità di dare corpo e densità ai chiaroscuri di una realtà dove l’innocenza è andata per sempre perduta e dove vittima e carnefice continuano a scambiarsi i ruoli.

 

 

Titolo originale: Dark Places
Regia: Gilles Paquet-Brenner
Interpreti: Charlize Theron, Nicholas Hoult, Chloë Grace Moretz, Christina Hendricks, Tye Sheridan, Corey Stoll
Distribuzione: M2 Pictures
Durata: 113’
Origine: Gran Bretagna/Francia/Usa, 2015

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