David di Donatello 2005

Vincitore a sopresa dell'edizione del David 2005 Paolo Sorrentino con “Le conseguenze dell'amore”. Tra gli interpreti spicca il riconoscimento al Carlo Verdone di “Manuale d'amore” e alla Bobulova di “Cuore Sacro”.

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Dove sta andando il cinema italiano? Difficile dirlo, anche perché ci sembra più che altro fermo, immobilizzato, legato e imbavagliato, impossibilitato a muoversi. Certo, abbiamo quei cinque, sei, otto fuoriclasse, ma non basta. Ci vorrebbe un bel gioco di squadra, un po' di affiatamento, la voglia di ritrovarsi su certe latitudini di sguardo e il desiderio di confrontarsi su altre, ma almeno avremmo un po'di vita, un po' di lotta, sì, qualche segno flebile di esistenza. Non è così, e purtroppo non è una novità. Ce lo testimonia ancora una volta il David di Donatello di quest'anno, non molto dissimile come qualità delle opere in gara da quello dello scorso anno. Anzi, se possibile, le cose sono andate anche peggio. Innanzitutto per quanto riguarda le candidature: le dodici nomination al Veronesi di Manuale d'amore ci sembrano davvero uno schiaffo al buonsenso, così come non ci convince la candidatura dell'Amelio di Le chiavi di casa (film arteriosclerotico e fasullo come pochi altri visti quest'anno), quella del terribile Ferrario di Dopo mezzanotte, per poi finire con i fratelli Frazzi di Certi bambini (forse il meno peggio fra questi) e il deludente Sorrentino di Le conseguenze dell'amore. Siamo d'accordo invece sull'Ozpetek di Cuore sacro, un film bello e difficile, un'opera affannosa e disperata che non è piaciuta quasi a nessuno, ma che non ha lasciato indifferente noi per almeno due motivi: Ozpetek è un regista che rischia continuamente il posto nei favori della critica e del pubblico, ma non demorde e osa. Cuore Sacro è forse il film manifesto del suo cinema più sbilanciato, molto più avanzato di La finestra del fronte, molto meno accomodante de Le fate ignoranti. Andiamo allora alla serata della premiazione. Presentano Mike Buongiorno e Luisa Corna il chè ci lascia perplessi, visto che si tratta di due personaggi che non hanno nulla a che vedere con il cinema. Ospiti stranieri della serata Tom Cruise (a Roma anche per pubblicizzare con almeno un mese d'anticipo La guerra dei mondi diretto da Steven Spielberg) e Hilary Swank che ritira il premio per il miglior film straniero andato a Million Dollar Baby. Ma veniamo ai premi.

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Asso pigliatutto il Sorrentino di Le conseguenze dell'amore che vince come miglior film, regia interprete, sceneggiatura e fotografia. Lo abbiamo già scritto, non siamo d'accordo. Sorrentino è capace di grandi cose (L'uomo in più era in questo senso folgorante per certi versi), ma non lo ha dimostrato stavolta con un'opera programmaticamente chiusa, fredda, artefatta, un esercizio di stile che ripudia ogni forma di intimità e di vera emozione. Giusto invece il riconoscimento andato a Tony Servillo che si riconferma come uno degli interpreti più ispirati del momento, così come il premio per la fotografia al grande Luca Bigazzi. Il premio come miglior attrice va alla Bobulova (Cuore Sacro), vista quest'anno anche in Ovunque sei di Placido. Che dire, premio meritato, soprattutto per il tour de force emotivo a cui Ozpetek ha costretto l'attrice, impegnata lungo il film in una stressante sovrimpressione con la Bergman di Europa '51. Per finire con i premi maggiori registriamo il David vinto come migliori non protagonisti da Carlo Verdone e Margerita Buy (Manuale d'amore). Sulla Buy abbiamo qualche riserva (non fa altro che rifare continuamente il suo ormai classico personaggio nevrotico diventato quasi insopportabile), sul Carlo nazionale davvero nessuna. E' uno dei nostri registi più in forma del momento e come attore non sbaglia un colpo. Se il film di Veronesi ha avuto il successo che ha avuto, merito è soprattutto suo. A questo punto ci piacerebbe regalarvi le nostre ideali nomination, ma francamente non ce la sentiamo. Innanzitutto perché a questo punto non ha molto senso e poi perché non ci viene in mente nessun film italiano che ci abbia colpito al cuore o giù di lì. Sì, c'è il Placido di Ovunque sei (non tutto, ma certi momenti non si dimenticano), il convincente Piccioni di La vita che vorrei, Saimir (un'opera tutta da scoprire), e poco altro ancora.

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Non basta.

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