#David2017 – La stanca gioia

Suo malgrado il buon film di Paolo Virzì diventa il simbolo perfetto di un Sistema che, pur ossessionato dal proprio stato di salute, non può fare a meno di dirsi (e dirci) che tutto va bene.

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Ancora stravolti dalla sbornia notturna e scintillante degli Oscar, culminata della meravigliosa farsa del busta-gate, il nostro approccio ai David di Donatello 2017 non poteva essere che quello rilassato di una tranquilla reunion annuale con i soliti vecchi amici, la classica serata dove prima si propongono idee e nuove esperienze da vivere e poi si finisce per rimanere a casa, con una birra in mano, a ripetersi sempre le stesse cose. La “notte più importante del Cinema Italiano”, come amano costantemente ripetere, è costruita da quella calda e rassicurante prevedibilità, nei premi e nelle situazioni, che, come un film che si conosce a memoria, anestetizza i pochi spettatori interessati. Nonostante si sia provato, nel corso della premiazione, ad abbozzare una competizione tra Veloce come il vento e Indivisibili (finita in pareggio con sei David a testa), il manuale Cencelli dei premi ha riportato l’evento nel più tradizionale degli svolgimenti, accontentando quasi tutti (l’unico a vedere andare a vuote le sue dieci nomine è stato Fai bei sogni, con Marco Bellocchio assente). Nessuno pretende sorprese e colpi di scena (si pensi che, nonostante l’impegno delle agenzie di scommesse a quotare ogni evento, questi David sono stati ignorati) ma la vittoria de La pazza gioia (5 David), con la prima doppietta miglior regista – miglior film per Paolo Virzì, rientra tranquillamente nella tradizione del premio, quasi in un omaggio postumo al lavoro del suo scomparso presidente Gianluigi Rondi. Premiare il buon film di Virzì significa, quindi premiare (l’immagine di un) cinema ancora innamorato dell’eredità dalla “vera commedia all’italiana”, un’industria fatta di film costruiti perfettamente per bilanciare dramma e commedia, scritti “tanto bene” da due/tre sceneggiatori tra i più quotati e con interpreti che recitano magnificamente. Suo malgrado Paolo Virzì, sinceramente emozionato dalle vittorie, diventa il simbolo perfetto di un Sistema che, pur ossessionato dal proprio stato di salute, non può fare a meno di dirsi (e dirci) che tutto va bene, che anche se i tempi gloriosi sono passati siamo ancora grandi, che (come gli allenatori di calcio) i nostri professionisti sono i migliori. Ogni celebrazione è Retorica ma discorsi come quelli di un Benigni, mai cosi dimesso e sottotono, sembrano più legati a un inconscio horror vacui del futuro che a una sana riaffermazione di sé. In questo quadro, ben sintetizzato dalla strampalata organizzazione dei tempi di selezione e di voto, nonostante i tentativi d’apertura dell’Accademia, non può esserci molto spazio per prodotti come Fiore di Claudio Giovannesi (premiato il solo miglior non protagonista Mastandrea), Indivisibili di Edoardo De Angelis e Veloce come il vento di Rovere, costretti ad accontentarsi di un piccolo posto al sole.

 

david 2017 2

Nel rassicurante e statico benessere simulato dei David, allora, la muscolare ed eccitata voglia di spettacolo di Sky crea una contraddizione insanabile. La rete, infatti, non solo non riesce a trasformare la serata in un evento televisivo accattivante ma, anzi, spreca l’enorme sforzo produttivo. Ormai abbiamo dovuto accettare la vuota volontà di ricalcare meccanicamente la formula “Notte degli Oscar” e tutti i suoi, sballati, effetti collaterali (il red carpet su Via Tiburtina, scusateci, è esilarante). L’incapacità di gestire anche le buone idee originali (l’ottima clip introduttiva), però, ci svela tutti i limiti del metodo Sky. Sappiamo che i David scontano il forte disinteresse del pubblico generalista ma dare alla serata una direzione schizofrenica non ha avuto una gran fortuna. Ritmi frenetici all’inizio e poi dilatati verso la fine, un conduttore bravissimo, Alessandro Cattelan, che prova con tutte le proprie forze a smuovere il pubblico (che vive ogni anno la serata come il più atroce dei funerali), premi annunciati in fretta e furia, dove nelle categorie minori i nominati non meritano nemmeno l’onore di sentire il proprio nome pronunciato, sono solo alcuni dei problemi di uno show che per diventare internazionale e innovativo, sembra confuso e disordinato. Noi, per primi, abbiamo accolto con gioia la notizia del passaggio della diretta televisiva dei David dalla tv di Stato alla rete di Murdoch, immaginandoci la possibilità di una piccola rivoluzione, grazie a un’azienda capace di rivitalizzare l’impossibile. Gli esiti di questa seconda edizione targata Sky, invece, ci riportano una domanda che già l’anno scorso ha attraversato le nostre menti. E se per la loro natura i David di Donatello possono vivere solo dentro il caldo e superficiale abbraccio di Mamma Rai, addormentati nel dolce oblio dei ricordi dei bei tempi che furono?

L’elenco completo dei premi

 

La nostra intervista da Cannes a Paolo Virzì e Micaela Ramazzotti

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