"Dear Wendy", di Thomas Vinterberg

Vi è una tensione all'eccentrico ben percepibile in “Dear Wendy” come un passo sgraziato, una forzatura non sullo spettatore ma sul film stesso, che balza all'occhio sin dalla storyline.

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È poco allegro constatare come la diatriba pro/contro Von Trier non porti di anno in anno che a un irrigidimento delle posizioni, a un arroccamento in un fronte ideologico, piuttosto che a un ridimensionamento dell'uno e dell'altro furore all'insegna dell'oggettiva, a nostro avviso, pochezza della questione. Oggi, a Dogma tramontato, bisogna forse ammettere che la sua autoproclamazione ha deviato la comune attenzione da altri fenomeni nel bene e nel male più rilevanti. Come è vero che ogni provocazione, e non solo quella danese, cela un preciso calcolo, così bisogna riconoscere che la plateale ricerca dello scalpore operata dal regista di Dogville porta a risultati discontinui e non disprezzabili in toto. D'accordo, il giovane Vinterberg non è Von Trier, che però firma la sceneggiatura, rimedia il suo direttore della fotografia Anthony Dod Mantle e coordina il tutto; il risultato è all'altezza delle aspettative, quali esse siano, ed è proprio questo il problema di un cinema che fa di tutto per destabilizzare, spiazzare, sorprendere. Vi è una tensione all'eccentrico ben percepibile in Dear Wendy come un passo sgraziato, una forzatura non sullo spettatore ma sul film stesso, che balza all'occhio sin dalla storyline: un club segreto di adolescenti americani autoproclamatisi "Dandies" con tanto di mise baudelairiana, animati dal pacifismo e dal culto delle armi, si fa trucidare da una squadra di rangers per accompagnare una vecchietta a prendere un caffè. Non c'era una via più semplice per raccontare il feticismo della pistola (la Wendy del titolo è la 6,35mm alla quale il protagonista Dick scrive lunghe accorate lettere)? D'accordo, è una sfida: un plot basato su personaggi improbabili, nei quali è pressoché impossibile identificarsi. Se condotto fino in fondo, il gioco poteva risultare davvero destabilizzante; il problema è che gli autori non se la sono sentita, ed ecco la voce narrante del protagonista prenderci per mano e non lasciarci soli per più di due minuti (l'effetto blandamente straniante che origina ci ricorda più La rabbia giovane che Barry Lyndon, citato per Dogville). Come se costituisse ancora oggi un'imperdonabile violazione alle regole della grammatica cinematografica, quella voce over, e non un espediente comunemente accettato. Nota positiva: le musiche dei ritrovati Zombies, grande gruppo garage precursore della psichedelia floydiana.

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Titolo originale: id.


Regia: Thomas Vinterberg


Interpreti: Jamie Bell, Bill Pullman, Michael Angarano, Danso Gordon, Novella Nelson, Chris Owen, Alison Pill


Distribuzione: Eagle Pictures


Durata: 101'


Origine: Danimarca, Francia, Germania, Gran Bretagna, 2005

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