Dello smarrimento

le affinità elettive di tre film del “nuovo” cinema italiano

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Il cinema italiano, casualmente (?) si ritrova a riflettere sul senso di perdita, su quella sorta di smarrimento dei sensi, della ragione, della vista, di tutto ciò che crediamo faccia parte della nostra vita. Tre film, molto diversi peraltro, usciti contemporaneamente (L’ultimo bacio, La stanza del figlio e Le fate ignoranti) sembrano andare tutti verso un’unica direzione emozionale: quella dello scontro del soggetto con la sottrazione del proprio “reale”.
Cosa siamo oggi, che razza di vite conduciamo, quanto ci appare sensato il nostro vivere quotidiano, tutto ciò viene completamente rimesso in discussione, attraverso chiavi di letture diverse, dai tre film in questione. Muccino deliberatamente raccontando la paura dei sentimenti come “lacci” troppo stretti dei nostri corpi; Moretti attanagliandoci dentro lo smarrimento più crudele, quello di un corpo d’amore che improvvisamente ci viene a mancare e rende tutto il resto completamente “allucinato”, insopportabile; Ozpetek, quasi miscelando le due storie, unisce lo sconvolgimento per la perdita della persona amata (anche qui, un incidente), con la scoperta che questa era in realtà altra da quella conosciuta per tanti anni, e che evidentemente non voleva/poteva rimanere ingabbiata nella “semplice” relazione di coppia tradizionale.
E’ curiosa questa contemporaneità di sguardi sulla nostra “attualità emozionale” da parte di registi apparentemente così poco affini, che invece la critica – con la solita poca attenzione che talvolta la contraddistingue – ha teso a mettere (nel caso Muccino/Moretti) invece l’uno contro l’altro, come se necessariamente il dibattito “culturale” (politico) in Italia debba gemellarsi con quello sportivo (Bartali/Coppi, Mazzola/Rivera, Totti/Del Piero, ecc…). Ma questo fa parte del malcostume italiano, dove la differenza tra i giornali “autorevoli” e quelli popolari pieni di gossip è ormai sottilissima…
Le fate ignoranti, di questo regista meticcio italo-turco (e sceneggiato e prodotto da un personaggio come Gianni Romoli, ex “cineclubista” e organizzatore di varie edizioni di Massenzio) è un film sul completo disvelamento di quello che noi intendiamo per reale. Lavoriamo, abbiamo una vita “normale”, una relazione, qualcuno con cui condividiamo la vita, tutta la vita. Poi un giorno la fatalità ci toglie questa persona e, immersi ancora nello sgomento e nel dolore (altro elemento in comune nei tre film, sì, persino in quello di Muccino che forse è il più “doloroso” di tutti, con questa sua assoluta impossibilità a vivere liberamente e con un qualsivoglia senso di speranza i sentimenti), per caso ci imbattiamo in un quadro, un regalo, un contatto stranamente vivo con la persona ormai perduta (anche ne La stanza del figlio questo avviene, ed è la lettera della ragazza di Andrea con tutto ciò che ne conseguirà nella storia). Ma questo “contatto” apre degli squarci inauditi: le persone che conosciamo sono realmente quelle che crediamo che siano? Forse sì, ma sono anche “altro”. Ecco la forza di tre film che, forse involontariamente, ci riproducono fedelmente un senso di incredibile ricerca, che solo le espressioni artistiche migliori riescono, ogni tanto, a fornirci: cosa c’é tra le persone? Di cose è fatto quel qualcosa che sta tra noi e gli altri? Domanda terribile, quasi diabolica, che anche un film triste e cupo come Controvento in qualche modo si poneva, non trovando alcuna risposta, rifugiandosi solo nel dolore. Moretti, Muccino e Ozpetek, invece, sembrano tentare di dare delle risposte, magari anche sbagliate, ma risposte. Vediamo Margherita Buy cercare il senso di una persona che ha, come dice lei testualmente, perduto due volte, nel presente e nel passato, e trovare invece solo altre persone, altri legami, una minicomunità complessa, giochi, sguardi, problemi, storie che si intersecano. Stefano Accorsi (curiosamente presente in tutti e tre i film…quasi che le pellicole volessero in qualche modo toccarsi, riproducendo sullo schermo un elemento formale di “contatto”) ne L’ultimo bacio non capisce più nulla, completamente perso tra i desideri, gli istinti, e l’idea di una vita “normale”, con una persona amata, ma che spaventa più della morte o della perdita di una persona cara. Nanni Moretti e Laura Morante, che trovano un senso alle loro giornate solo nel ricercare attimi sconosciuti del figlio perduto, quella ragazza di cui non sapevano niente, quegli amori adolescenziali, i frammenti di vita che ognuno di noi ha solo per sé, che non può comunicare agli altri, figuriamoci ai propri genitori. E, dolcemente, quello scegliere di accompagnare la ragazza prima all’autogrill, per aiutarla a fare l’autostop, poi a un’altra stazione e poi fino alla fine, più lontano, in Francia, in un luogo vicino eppure già un po’ ”altro”, come a volere riconquistare quei frammenti perduti attraverso altri frammenti. Storie che sembrano non chiudersi, non finire, non definire delle scelte, delle vie di fuga obbligate. Storie aperte. Cosa c’é allora tra le persone, che ci sfugge? Altre persone, altre persone….quello che ci lega al mondo

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