Nell’approcciarsi a Demon Slayer: Verso il villaggio dei forgiatori di katana sorge immediatamente un dubbio analitico: come interpretare, giudicare o osservare questo testo? A ben vedere, non si tratta di un film ad episodi, di un lungometraggio auto-conclusivo né tanto più di un classico spin-off/sequel. Per noi occidentali, abituati a considerare un’opera che passa sul grande schermo nella sua indipendenza narrativa, questa operazione di rimontaggio potrebbe sembrare ambigua, se non decisamente opportunistica. Ma in Giappone non è così. Perché Demon Slayer, nell’accorpare i due episodi finali della seconda stagione con il capitolo introduttivo del terzo ciclo seriale (in uscita ad Aprile) risponde qui a due importanti finalità: da un lato riscoprire le radici su cui sono nate, nel paese, le relazioni tra animazione seriale e cinematografica; dall’altro iscrivere il nuovo corso di episodi all’insegna di un avvenirismo estetico che solo la serie originale è stata in grado (ad oggi) di anticipare.

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Risalta subito all’occhio, allora, come la Ufotable abbia voluto smarcarsi dalle “solite” strategie commerciali dell’animazione contemporanea, per dialogare direttamente con le logiche promozionali del passato. Già nel 1963 – ovvero nell’anno d’esordio del primo vero anime televisivo, Astro Boy – la Toei organizzava delle particolari maratone cinematografiche – denominate “Manga matsuri” – in cui venivano proiettati in sala alcuni degli episodi più significativi della stagione, in modo che il pubblico giovanile, nel corso delle vacanze scolastiche, potesse recuperare sul grande schermo tutto il meglio dell’animazione televisiva. E da questa prospettiva, vediamo come Demon Slayer: Verso il villaggio dei forgiatori di katana omaggi sin da subito il passato, interpretandone con lucidità sia le logiche commerciali che comunicative.

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Non è un caso, infatti, che il film si apra con il penultimo capitolo della seconda stagione, ovvero con l’episodio che ha consentito a Demon Slayer di portare gli orizzonti degli anime oltre le barriere estetiche del superflat: dopo un breve recap introduttivo, con cui si ripercorre la storia di Tanjiro dall’omicidio della sua famiglia fino alle prime missioni da spadaccino ammazza-demoni, ecco che il film entra in quella vertigine espressiva fatta di scontri, simultaneità sceniche e deliri orgiastici di sangue e smembramenti, in cui la mobilità della “camera simulata” rompe con i limiti bidimensionali dello spazio animato, senza mai trascendere l’ontologia della cel animation. Poi certo l’opera non presenta la coerenza strutturale de Il treno Mugen, né la propensione di One Piece Red o Jujutsu Kaisen 0 a riflettere sulla propria mitologia. Ma la sua stessa natura produttiva lascia trapelare una dichiarazione d’intenti forte, con l’episodio finale che arriva a catalizzare su di sé l’insieme delle trasformazioni estetiche in seno agli attuali shōnen transmediali. Perché Demon Slayer, ormai, sa bene che ogni evoluzione, variazione o cambio di paradigma dovrà passare ancora dalle sue logiche animate. Al di là del formato in questione.

Titolo originale: Kimetsu no Yaiba: Katanakaji no Sato-hen
Regia: Haruo Sotozaki
Voci: Natsuki Hanae, Akari Kito, Yoshitsugu Matsuoka, Hiro Shimono, Katsuyuki Konishi, Miyuki Sawashiro, Ryota Osaka, Kana Hanazawa, Kengo Kawanishi, Shizuka Ishigami
Distribuzione: Warner Bros Italia, Crunchyroll
Durata: 110′
Origine: Giappone, 2023

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