Des garçons de province, di Gael Lepingle
Dal Sicilia Queer FilmFest in corso a Palermo, Gael Lepingle porta avanti il suo discorso attraverso una rappresentazione molto acuta della sensibilità dei propri personaggi
La rinuncia ad una storia d’amore in un contesto provinciale opprimente. Tre luoghi rurali come Vendeuvre-sur-Barse, La Chapelle Saint-Mesmin e Hermoyin Loiret e tre storie estive narrate tutte in sottrazione. Gael Lepingle riprende i temi delle sue opere precedenti (Julien, Seul Les Pirates) le aggiorna con poetiche note autobiografiche e propone un trittico legato dal filo rosso di una canzone.
C’è il sogno d’amore di Youcef (Yves Batek Mendy) che ha un colpo di fulmine per una drag queen che si esibisce in tourneè nel suo villaggio; c’è un ragazzo senza nome (Edouard Prevot) che attende notizie sul suo futuro scolastico mentre attraversa le strade con scarpe dai tacchi alti; c’è Jonas (Leo Pachat) un ragazzo di strada che posa per Mathieu (Serge Renko) un attempato fotografo gay che insegna spagnolo in una scuola. Sono tre racconti intimi, in parte malinconici, in parte orgogliosamente ribelli. Sono istantanee di vita a volte disperata, a volte costretta a nascondersi nel segreto della clandestinità.
Le luci e le paillettes del primo episodio nascondono un sottofondo mesto rappresentato da quello sguardo che si perde come un palloncino rosso nel cielo: il mondo parigino e la sue infinite possibilità sembrano distanti anni luce. Ma è il secondo segmento quello che ci colpisce maggiormente perché praticamente girato con pochi dialoghi e qualche sms al cellulare: l’incedere del ragazzo che esce allo scoperto e cammina con le sue lunghe leve sfidando lo sguardo bigotto dei suoi compaesani è una delle più belle immagini del cinema queer da anni a questa parte. E’ un manifesto forte e chiaro di una identità da affermare passo dopo passo, incessantemente, orgogliosamente. In un posto come quello forse è impossibile amare ed essere amati senza doversi nascondere. Il terzo segmento riafferma questa difficoltà relazionale: il vecchio professore nasconde nel suo computer le foto di ragazzi in pose provocanti. Il giovane Jonas che si masturba di fronte a quelle rappresentazioni erotiche cade nello stesso errore di giudicare la vita degli altri e condanna Mathieu. Da oggetto di desiderio Jonas si trasforma in soggetto desiderante ma giudicante. In realtà Mathieu cela dietro uno schermo l’impossibilità a vivere il proprio sentimento alla luce del sole. Mentre lo sguardo di un osservatore esterno è pronto al giudizio sommario e a un processo senza attenuanti.
Gael Lepingle porta avanti il suo discorso attraverso una rappresentazione molto acuta della sensibilità dei propri personaggi: li apprezziamo negli sguardi perduti nel vuoto, nei silenzi, in certi momenti di tremenda debolezza. E’ un cinema morale, mai estetizzante che importa la lezione Bressoniana all’interno di una comunità chiusa. Più vicino alla letteratura (vengono in mente Balzac e Maupassant) e al cinema discreto di Guy Gilles. La sceneggiatura scritta con Michael Dacheux è molto attenta a stabilire una connessione tra vita interiore e contesto socioculturale arretrato. La bellissima canzone finale in un locale di Parigi dice che d’amore non si muore. Gael Lepingle guarda i suoi personaggi con grande empatia e sembra suggerire loro che forse è meglio morire d’amore che morire senza dare amore.