"Detachment – Il distacco", di Tony Kaye
Il suo è uno stare addosso al corpo quasi ossessivo, come se con questa vicinanza estrema si cercasse di coinvolgere lo spettatore. Il risultato, invece, è l'opposto, l'impossibilità di empatizzare con i personaggi, Henry su tutti, stabilendo una nuova distanza, questa di tipo emotivo, che separa lo spettatore dallo schermo. Tutto invece si sposta sul piano cerebrale con una freddezza quasi logica che accompagna la visione del film, avendo la sensazione di essere intrappolati come quelle persone ritratte nelle fotografie
Ma torniamo a quell'ossimoro iniziale. Detachment non è un documentario, ci è sempre chiaro che si tratti di un film di fiction (non fosse che per i tanti volti noti che danno vita ai personaggi), eppure Tony Kaye sceglie proprio il linguaggio di questo genere, un misto di interviste e momenti che sembrano ripresi da un punto di vista nascosto, un celarsi dietro la macchina da presa per cogliere il momento reale, a cui si vanno a mescolare tendenze da videoclip e suggestioni tra il pittorico e fotografico, quasi delle still life che intrappolano i personaggi in un eterno presente, attraendoli sempre di più verso la morte (lo stesso spirito di morte che emerge dal passato di Henry attraverso i suoi flashback). Forse, allora, non è un caso che Meredith, l'alunna problematica che trova in Barthes un punto di riferimento, vada in giro a scattare fotografie rubate di soggetti inconsapevoli, creando poi dei collage, una storia completamente diversa, unica traccia che alla fine rimarrà di lei. Un esperimento che si avvicina alla frammentazione dello sguardo di Kaye, il quale sembra voler raccontare i suoi personaggi da molteplici punti di vista, creandone un ritratto quasi cubista. Uno dei tanti ossimori del film.
Il titolo stesso sembra essere di per sé contraddittorio. Henry Barthes è una persona che cerca sempre di lasciare un certo distacco tra sé e gli altri, fallendo di volta in volta, spinto da uno spirito caritatevole o forse da semplice dovere nei confronti del prossimo. Ma il distacco, questa giusta distanza, non si riferisce solo all'attitudine del protagonista. Lo stesso Kaye sembra cercare per tutto il film il punto adatto da cui riprendere Henry. Inesorabilmente il suo occhio riduce sempre più le distanze, si avvicina massimamente al suo volto, tentando di svelarne l'anima, facendo emergere i ricordi traumatici che lo hanno formato. Il suo è uno stare addosso al corpo quasi ossessivo, come se con questa vicinanza estrema si cercasse di coinvolgere lo spettatore. Il risultato, invece, è l'opposto, l'impossibilità di empatizzare con i personaggi, Henry su tutti, stabilendo una nuova distanza, questa di tipo emotivo, che separa lo spettatore dallo schermo. Tutto invece si sposta sul piano cerebrale con una freddezza quasi logica che accompagna la visione del film, avendo la sensazione di essere intrappolati come quelle persone ritratte nelle fotografie di Meredith.
Titolo originale: Detachment
Regia: Tony Kaye
Interpreti: Adrien Brody, Christina Hendricks, James Caan, Lucy Liu, Bryan Cranston, Marcia Gay Harden, Sami Gayle, Betty Kaye, William Petersen
Origine: Usa, 2011
Distribuzione: Officine Ubu
Durata: 97’