DIBATTITO SUI FESTIVAL – Potere dissoluto

Lo spazio dialettico che apre il cinema viene passerellizzato, blindato a uso e consumo dell'immagine pubblicitaria di sé. E i film? E il cinema? A voler esser deduttivi bisognerebbe pensare che i toni trionfalistici e gli entusiasmi siano tutti per l'apparato, per la macchina. Un intervento di Donatello Fumarola del gruppo di Fuori orario, da Blow Up

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..il potere rende tale gente impotente in amore. Rubo questa frase da un testo scritto a cavallo del 1970 da Jean-Marie Straub e Danièle Huillet come "presentazione" del loro film Otone – Gli occhi non vogliono in ogni tempo chiudersi o Forse un giorno Roma si permetterà di scegliere a sua volta (che mi piacerebbe vedere in questi giorni di ubriacatura del potere a ogni livello, di furore, e di accaparramento del grano e di ogni spazio dove poter mettere la propria 'poltrona'). Cerco nutrimento nelle parole e nelle immagini (in quel loro incontro) di due dei cineasti che più di altri ci sanno far sentire l'incrinatura della trama strettissima di un vivere zombie dentro uno spettacolo disintegrato che integra tutto e tutti, che ci sorprendono con l'essenzialità e la ricchezza del loro cinema che risponde a leggi di un altro tempo, quello di Pavese e Vittorini, di Holderlin e Kafka, di Cezanne e di Brecht, degli alberi secolari della campagna toscana e della terra secca di Sicilia, il tempo di Jean-Marie e Danièle e delle decine di gatti a cui hanno offerto le loro cure.


Altrove (ma, ahinoi, tutto intorno!), fa impressione osservare con quale accanimento i giornalisti dello spettacolo si prostrano di fronte alla voce di qualunque padrone. E il progresso della voracità padronale è inarrestabile, come ci dimostrano i recenti casi di Roma e Torino, dove attorno al cinema si è consumato un assalto alla diligenza feroce e spietato, spalleggiato da una stampa preoccupata più del solito di imbellettare la propaganda di un potere sempre più sinistro (e vuoto, soprattutto di idee).

A Roma, durante i giorni della fiera-festa del cinema abbiamo assistito a una campagna stampa da ventennio fascista, praticamente senza eccezioni, e senza respiro, nonostante il programma fosse di una modestia imbarazzante (e le sale semivuote, mentre tutti hanno invocato il successo "popolare" della manifestazione). Verrebbe da chiedere: in cambio di quale privilegio? C'è stata un'occupazione degli spazi, tra giornali, tv, e cartellonistica varia, che nemmeno per la Mostra di Venezia si è mai vista (rimpiangeremo Muller, che è uno dei pochi che ancora sanno fare un festival col cinema e con i buoni film…). Gli articoli sui giornali e i servizi o i programmi tv sono state le passerelle dove è sfilata la "festa del cinema". La passerella è l'idea veltroniana di spazio, non solo quello materiale su cui hanno sfilato "le celebrità" (secondo un'unica linea generale, dall'auditorium a tor bella monaca). Mentre lo spazio dialettico che apre il cinema viene così passerellizzato, blindato a uso e consumo dell'immagine pubblicitaria di sé (del proprio nulla). E i film? E il cinema? A voler esser deduttivi bisognerebbe pensare che i toni trionfalistici e gli entusiasmi siano tutti per l'apparato, per la macchina (che nessuna Leni Riefenstahl dei giorni nostri potrebbe celebrare, la macchina si celebra ormai da sé).

La cosa più desolante è che questo 'modello' è stato promosso, o meglio, si è autopromosso per imposizione (e a suon di milioni di euro), come punto di riferimento, discrimine e giro di vite, nell'organizzazione delle manifestazioni "culturali" italiane. Torino è la prima che ne paga le spese, che sono altissime. Il modello veltroniano è stato usato, dagli amministratori locali e dai loro uomini a capo delle più alte istituzioni di cinema torinesi (Museo del cinema e Film Commission), come spauracchio per assaltare la direzione del Torino Film Festival (a cui si è aggiunta la furbissima nomina lampo di Nanni Moretti come nuovo direttore "di prestigio" – ma basterebbe vedere la programmazione del suo Sacher a Roma per immaginare quale noiosissimo festival avrebbe diretto). Va detto che quello di Torino è un festival che negli ultimi anni, grazie al lavoro e alle ossessioni di Roberto Turigliatto e Giulia D'Agnolo Vallan e al loro gruppo di lavoro, ha dimostrato una vitalità e una ricchezza della programmazione uniche al mondo, premiato peraltro (ma questo i repubblichini e i diessini torinesi si sono ben guardati dal farlo sapere) da una presenza di pubblico importante e crescente, e da una curiosità da parte anche di critici di molti paesi europei che lusinga il lavoro della brigata che fa capo al nuovo Rasputin Gianni Rondolino, bersaglio designato di tutto l'affaire, additato come un Saddam Hussein reo di tutte le colpe e di tutto il "fango buttato sulla città". La cosa banalmente curiosa è che in questa lotta non si sia mai parlato di cinema (non credo che ai vari uomini o donne di partito interessi davvero il cinema o la "cultura" con i quali si riempiono la bocca e le tasche, né sembra interessare più quelli che oggi si preparano a spartirsi il bottino). Non si è parlato dell'ultimo capolavoro di Clint Eastwood Flags of our Fathers che ha aperto il festival (e che, ironia della sorte, descrive bene l'immagine su cui si regge il potere). O dello spiazzante ultimo film di Takashi Miike 46 oku nen no koi (anche qui un assalto al potere!), delle Flame del paradis del grande Luciano Emmer (la caccia alle streghe!), o ancora dell'ossessiva deriva del potere del Bug di William Friedkin (a scorrerli ora i titoli dell'ultima edizione del TFF fa impressione scoprire la consonanza con quanto successo fuori dalle sale, negli uffici nei palazzi..), o di Lisandro Alonso che lo scorso anno a Torino vinse il primo premio, dei fiammeggianti 8mm di Piero Bargellini regalatici da Fulvio Baglivi al Caffè Liber, della Cina vista dal giovanissimo Xia Peng, dei cinediari israeliani di Perlov, degli Home movies di Darix Orfei musicati in sala da un geniale Stefano Pilia.. Il solo di cui si sia parlato è il nostro cineasta più giovane (nel senso anche di cinema), Tonino de Bernardi, vigliaccamente portato come esempio negativo di presenza del festival..


Non sappiamo che ne sarà della prossima edizione del TFF (Rondolino in uno scatto di autodifesa battagliera aveva minacciato a dicembre di voler fare il suo festival, alternativamente al loro, anche senza i finanziamenti del Museo del cinema e delle amministrazioni pubbliche che lo vogliono fuori dai giochi o piegato alle richieste dei nuovi poteri, e ci piacerebbe che andasse avanti in questa lotta di resistenza, e in qualche maniera supportarlo, visto che è anche grazie alla sua ostinata scelta di indipendenza che a Torino abbiamo avuto col cinema incontri d'amore che rischiano di svanire sotto le luci dei riflettori e delle passerelle al soldo di una classe dirigente spaventosamente dispotica, bulimica e barbara).

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(d.f.)


 


 


Dalla rivista musicale "Blow Up", febbraio 2007


 


NDR: il pezzo di Fumarola è stato scritto prima delle conclusioni della vicenda torinese con la nomina definitiva di Nanni Moretti a Direttore del Festival


 

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