"Die Hard – Vivere o morire" di Len Wiseman

Die Hard - Vivere o morireTorna John McClane ed è come un cavaliere medievale scaraventato in uno scenario da fantascienza. Un uomo tra alieni. O meglio un alieno tra gli uomini. E a prestargli il suo corpo in carne e ossa è ancora una volta Bruce Willis, segno di un cinema meravigliosamente retrò, cuore pulsante trapiantato in un action movie ammalato di cancro digitale

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Die Hard - Vivere o morire

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John McClane è ancora vivo. Siamo sollevati. Lo avevamo lasciato tanti anni fa in Duri a morire e cominciavamo a temere che si fosse spinto troppo aldilà del limite. Che poveri di spirito… Non c’è limite che tenga. A hero never dies. Il mondo forse può cambiare, i cattivi possono cambiare, mutar pelle e faccia, ma McClane resta impassibile, fedele al suo stile e all’America, saldo come una roccia, tetragono ai colpi di ventura.

ll giovane regista Len Wiseman, su sceneggiatura di Mark Bomback, basata su un articolo di John Carlin, A Farwell to Arms, imbastisce, per il quarto episodio della “saga” di Die Hard, un’intricata storia di terrorismo da terzo millennio. Un genio informatico, grazie alla collaborazione più o meno involontaria di ragazzini smanettoni e di hackers, getta il Paese nel caos, puntando a mandare in tilt il sistema attraverso la paralisi dei programmi di controllo dei trasporti, della finanza e delle fonti energetiche. McClane si trova nel bel mezzo di questa guerra informatica ed è come un pesce fuor d’acqua, un cavaliere del pieno medioevo scaraventato in uno scenario da fantascienza. Un uomo tra alieni. O meglio un alieno tra gli uomini. Perché il senso si capovolge facilmente. Se è vero che McClane è assolutamente incapace di districarsi nel mondo della tecnologia imperante, se è vero che è anche incapace di tenere le fila della sua vita privata che va a puttane, allora il vero alieno è lui. Il visitatore di un altro tempo, che ascolta ancora i Credence e usa il baracchino. Destinato forse alla solitudine, come l’Ethan Edwards di Sentieri selvaggi. Ma sempre e comunque straordinariamente vivo. Last Man Standing. E non a caso a dare al personaggio un corpo in carne e ossa è ancora una volta, e non potrebbe essere altrimenti, Bruce Willis, scaraventato in un cinema, come quello di Wiseman (non a caso regista di Underworld), dominato da spider-man che saltano dai palazzi e s’arrampicano sui muri, da X-Men e corpi mutanti. Come quello, incredibile (nel senso che è impossibile dargli credito) di Edoardo Costa, trasformato da bello di italian-soap a crudele gorilla. Da questa continua metamorfosi Bruce Willis resta indenne, nonostante ci avesse provato anche Rodriguez in Planet Terror a mutarlo geneticamente. E’ la sua presenza a garantire il segno di un cinema meravigliosamente retrò, cuore pulsante di un action movie ormai completamente invaso dagli effetti speciali, ammalato di cancro digitale. Gli altri giocano con il computer  e con il kung fu (basta con questo kung fu!!!), mentre il vecchio Bruce salta, spacca, dà pugni e calci, si fa male e sanguina. Non muore, contestano i fanatici della verosimiglianza. E’ vero: non muore. Ma è proprio questo l’incredibile. Perché, nonostante tutto, non muoiono i valori che incarna e, seppur ferita, non crolla l’immagine d’America a cui dà volto. Uno spirito reazionari, contestano gli intellettuali illuminati. Può darsi, ma non è certo detto che per essere rivoluzionari e d’avanguardia occorra rinunciare all’onore. No, ora ne abbiamo la certezza. Come McClane, come gli eroi…Bruce Willis non muore mai.

 

Titolo originale: Live Free or Die Hard

Regia: Len Wiseman

Interpreti: Bruce Willis, Justin Long, Timothy Olyphant, Kevin Smith, Maggie Q, Mary Elizabeth Winstead, Edoardo Costa

Distribuzione: 20th Century Fox

Durata: 130’

Origine: USA, 2007

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