Disclaimer, di Alfonso Cuarón
In una folle moltiplicazione di punti di vista, di voice over, un lungo, inquietante, eccitante, meraviglioso, incomprensibile e a tratti sgradevole film noir del 21° secolo. VENEZIA81. Fuori Concorso
Chissà se all’epoca dell’uscita del classico The Big Sleep (Il grande sonno, di Howard Hawks, 1946) esistevano i timori per gli spoiler… Forse no, perché ancora non era uscito l’articolo, pubblicato nell’aprile del 1971 sulla rivista National Lampoon, intitolato “Spoilers”, in cui Doug Kenney (geniale fondatore della rivista e colui che inventerà il demenziale con Chevy Chase, Harold Ramis, John Belushi, ecc… ritratto non proprio amabilmente nel film A Futile and Stupid Gesture) rivelava i finali di film famosi. scrivendo: “Spoiler! Cosa sono? Semplicemente il finale di ogni romanzo e film misterioso che potresti mai vedere. Risparmia tempo e denaro!”
Altri tempi, quando i film potevano avere trame inspiegabili anche ai più accaniti ricercatori delle spiegazioni razionali e logiche, e quando si poteva far diventare il racconto dei finali di un film un meraviglioso gioco al massacro del cinema tout court…
Cambio di scena e siamo nel 2024, e per la prima volta, se non sbaglio, viene presentata alla Mostra del Cinema di Venezia non solo le prime puntate, ma l’intera stagione della nuova serie tv scritta e diretta da Alfonso Cuarón.
Volete sapere di cosa si tratta? Per non incorrere nei 16 spoiler segnalati dalla produzione (con la cortese preghiera del regista di attenersi alle richieste) vi mettiamo la trama suggerita direttamente da loro, togliamo solo alcuni aggettivi e i premi vinti.
Disclaimer – La vita perfetta è un thriller psicologico basato sull’omonimo best-seller di Renée Knight. L’acclamata giornalista Catherine Ravenscroft (Cate Blanchett) ha costruito la sua reputazione rivelando le malefatte e le trasgressioni degli altri. Quando riceve un romanzo da un autore sconosciuto, si rende conto con orrore di essere la protagonista di una storia che mette a nudo i suoi segreti più oscuri. Mentre Catherine lotta contro il tempo per scoprire la vera identità dello scrittore, è costretta a confrontarsi con il suo passato prima che questo distrugga la sua vita e i suoi rapporti con il marito Robert (Sacha Baron Cohen) e il figlio Nicholas.
Se il film (o la serie Tv, fare voi) fosse realmente questa trama, non meriterebbe troppe attenzioni. Ma per fortuna i film non sono (solo) le trame, ma soprattutto gli angoli, gli spiragli, i punti di vista, i corpi, le menzogne, e tutte le sottotracce incredibili che, da quando è nato, hanno fatto grande il genere noir.
Perché, e questo si può dire senza finire nell’autocensura, Disclaimer è un lungo, inquietante, eccitante, meraviglioso, incomprensibile e a tratti sgradevole film noir del 21° secolo.
Quello che più colpisce di queste 7 scorrevolissime puntate è l’assoluta impossibilità a stabilire una verità, per quanto la storia stessa sembra indicarla in un finale apparentemente chiarificante. Ma siamo davvero sicuri che la confessione finale della protagonista al vecchio professore (interpretato da un incredibile Kevin Kline!), sia la storia davvero accaduta? E cosa è successo alla giovane Sasha, fuggita dall’Italia dov’era in viaggio con il giovane Jonathan, almeno 20 anni prima (anche se l’ambientazione suggerirebbe tempi più lontani ma questa è un’altra suggestione folle di una storia che non sembra mai credibile eppure tiene incollato lo spettatore davanti allo schermo per quasi 6 ore)?
Perché quello che in tutta la serie viene meno, o meglio viene moltiplicato, è proprio il punto di vista. E se nelle prime 4 puntate assistiamo a un morboso e accattivante crescendo erotico (dalla scena d’apertura in treno con i due ragazzi fino alla lunga e fin troppo dettagliata scena dell’adescamento in spiaggia tra il giovane con la macchina fotografica e la protagonista della storia), nella seconda parte si precipita nelle derive concettuali di una storia dove le ferite sembrano non rimarginarsi mai, dove il perdono non sembra far parte delle scelte possibili, e dove solo la violenza può giustificare la morte, come se ci fosse una logica nella follia delle vite – sconnesse e sempre fuori sincrono – messe in scena.
Ed ecco che Cuarón si lascia affascinare, più ancora dell’intrigante romanzo, uscito in Italia con il titolo La vita perfetta, di Renée Knight, dalla possibilità – tipica del noir – dell’utilizzo della voce fuori campo. Ma se Billy Wilder aveva fatto raccontare la storia da un morto (curioso che lo ripeta – tra i film qui a Venezia – anche la simpatica commedia sentimentale Trois amies, di Emmanuel Mouret), Cuarón sembra più interessato alla moltiplicazione degli intrecci, dei punti di vista, e quindi si domanda: “che succede se invece di un solo voice over, ce ne fossero altri, in prospettive differenti?”
Ma non contento di spiazzare il pubblico con questa voice over che parla in seconda persona ai personaggi, il regista ha persino chiesto al fedelissimo e straordinario direttore della fotografia, Emmanuel Lubezki di farsi affiancare dall’altro DOP Bruno Delbonnel, per dare un tono diverso anche dal punto di vista visuale delle storie diverse raccontate.
Il risultato è un magnifico guazzabuglio di stili e di storie e di punti di vista che non vedevamo dai tempi di The Affair, altro straordinario groviglio di crimine amore e morte del noir dei nostri dannatissimi anni…
Ma in questa storia, a più strati spazio-temporali, troviamo anche la possibile e forse definitiva crisi dell’uomo di questo secolo. Schiacciati e sopraffatti dalle vite degli adulti i più giovani, prima sconvolti dal tradimento e poi pentiti amaramente e stupidamente gli adulti, guidati da una donna probabilmente impazzita dal dolore gli anziani, tutti gli uomini della storia, ad eccezione della vittima che forse non è solo vittima, sembrano succubi dell’universo femminile. Che invece comanda le storie, le lancia dentro racconti che provengono dall’aldilà, spariscono inspiegabilmente su treni che le portano via, vivono storie con doppie e forse triple letture, lottano disperatamente per i loro figli, vivi, morti o in fin di vita che siano.
Dentro le maglie di un intrigo che è fatto di tracce, di sentimenti, di vergogne, di omissioni, di rancori che vengono dal passato, Disclaimer sembra mantenere il senso del significato letterale del termine in italiano: dichiarazione di non responsabilità. Nessuno sembra prendersi seriamente la responsabilità delle proprie azioni, in un mondo dove la reputazione di una persona può essere messa in discussione da un libro scritto da una persona sconosciuta. E in un attimo la gloria di una carriera passata rivelando i misfatti e le trasgressioni degli altri, si trasforma si rovescia nella mostruosizzazione di una “verità nascosa”. Ma qual è la verità? Quella che racconta Kate Blanchett a Kevin Kline nel quasi finale? Uhm, quella storia sembra meno credibile di quella raccontata nel libro… sicuramente meno piccante e molto “politicamente corretta”. Ma poi perché il mostro deve essere un ragazzo morto? (ops, ho spoilerato qualcosa?).