Dites-lui que je l’aime, di Romane Bohringer

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Commovente adattamento dell’omonimo libro dell’esponente politica francese Clémentine Autain, tra le protagoniste del film. CANNES78. Séances Spéciales

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Dites-lui que je l’aime e l’adattamento dell’omonimo libro dell’esponente politica francese Clémentine Autain, tra le protagoniste del film, presentato nella sezione Séances Spéciales. Al secondo lungometraggio di Romane Bohringer, per entrambe, regista e scrittrice, si tratta di ripercorrere la drammatica perdita delle rispettive madri in età precoce. Alle soglie del progetto documentaristico, l’opera si fa amare ed apprezzare soprattutto per la capacità evidente di rendere vivo e pulsante il sentimento dell’assenza, della frattura parentale. Sentirsi abbandonata e non più desiderata sono i pensieri più pressanti e ricorrenti nella testa, perché non si può perdere la persona che ti ha messo al mondo a soli 9 mesi. La storia inizia quando alla TV la regista vede un’intervista di Clémentine Autain che sta presentando il suo libro e parla della madre e di quel desiderio straziante di ritrovare l’amore perduto. Le storie si intrecciano e si amalgamano con la consapevolezza di non avere più ricordi, di averli smarriti o confusi.

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Proprio in questo istante entra in gioco probabilmente la forza del cinema, attraverso la combinazione di formati, rielaborando materiali di archivio, ponendo al centro il potere delle immagini, capace, oggi più che mai, di accendere la scintilla tra le macerie della memoria, negli oscuri anfratti della mente, che fatica e martella ogni istante per recuperare i pezzi esistenziali andati perduti. I traumi familiari campeggiano e l’obiettivo e tornare sui passi materni, senza però trasformare il cammino in una sorta di lacrimosa via crucis. Quella madre di sangue misto, durante la guerra d’Indocina, adottata da genitori francesi piuttosto violenti. Ecco, tutto questo viene raccontato e senza dubbio la generosità e la sincerità del tormento vissuto sono i punti cardini dell’opera , aprendo, senza remore, le porte dell’intimità. Orfane che poi diventano madri si ritrovano nel marasma di quel «dolore necessario», che non finisce mai, è un dolore che si rinnova ogni secondo della tua vita come fosse nato insieme a te.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.6
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Il voto dei lettori
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