Django. Francesca Comencini racconta la serie a Sentieri Selvaggi

La regista Francesca Comencini (Gomorra, Luna Nera) ci ha raccontato della genesi della sua ultima serie western, ripercorrendo poi le tappe della sua poetica nel nostro incontro del 29 marzo scorso

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Django – La serie è appena andata in onda su Sky dopo l’anteprima all’ultima Festa del Cinema di Roma. Si tratta della tappa più recente nel percorso di Francesca Comencini all’interno della serialità “di genere”, che ha attraversato già i territori di Gomorra e Luna Nera. Ma lo sguardo di Francesca Comencini segna il cinema italiano sin dagli anni ’80 di Pianoforte e poi con titoli importanti come Le parole di mio padre, Mi piace lavorareMobbing, Lo spazio bianco, Un giorno speciale, il recente Amori che non sanno stare al mondo, e documentari come Carlo Giuliani, ragazzo.

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Erano gli anni Settanta, ed io ero appena una ragazzina quando mi sono immersa nell’oscurità di un cinema. La mia mente, da allora, ha viaggiato tra le nuvole di fumo delle selvagge praterie del western. Leone, Corbucci, Morricone: sono cresciuta con quei Maestri. I loro film, in particolare il Django di Corbucci, le loro musiche, mi hanno fatta sentire anarchica, ribelle e piena di vita”, ha raccontato la regista nell’incontro con la redazione e gli studenti di Sentieri Selvaggi dello scorso 29 marzo.

Come nasce questo rapporto col cinema western e quali film ti hanno particolarmente appassionata come spettatrice?

Nell’epoca in cui sono stata ragazza si andava ogni settimana al cinema, e molto spesso uscivano dei western che erano dei capolavori. Erano film con all’interno una dimensione divertente ma anche molto politica, di ribellione… Ad esempio Il piccolo grande uomo, Il mucchio selvaggio. Il western è un sogno, un bisogno smisurato di cinema. E’ una cosa che inizialmente pensi non farai mai nella tua vita, ma poi ci cresci dentro, e cambia tutto.

Mucchio Selvaggio, ad esempio, è un film che ho sempre amato e che è rimasto dentro di me. Quando ho cominciato a collaborare alla serie Gomorra, in alcune situazioni mi venivano in mente delle situazioni western. Avevo sempre sognato di poter far parte della squadra di registi, avevo amato Romanzo criminale, e quando ho incontrato per la prima volta Stefano Sollima, il primo film che gli ho citato è stato proprio Mucchio Selvaggio. Sapete qual è stata la sua risposta? “Però lo slow motion no…”.

Il western lo avevo dentro di me, anche se credo fosse una cosa un po’ generazionale. I film citati prima, hanno incarnato lo spirito di rivolta: hanno realizzato un’operazione abbastanza incredibile, specialmente per il cinema italiano (l’Italia si è appropriata di questo genere, re-inventandolo): mentre il western è stato l’epica cinematografica di una conquista, è stato anche un mezzo di propaganda. Usando lo stesso genere hanno raccontato la crisi di quella conquista, però utilizzando lo stesso genere cinematografico. Questo lo trovo interessante: un genere che rinasce sempre dalle sue ceneri e si trasforma…”

Analizziamo il personaggio interpretato da Franco Nero, il protagonista del capolavoro di Corbucci che passa in Tarantino per Django Unchained, che sotto lo sguardo della Comencini interpreta un ruolo un po’ insolito, un Reverendo che ha studiato medicina, che è contro l’odio (cambia completamente rispetto i primi due).

Quanto Corbucci ti ha influenzata per questo progetto e in cosa consiste la modernità nel film del 1966?

La modernità sta nel creare una sorte di antieroe. L’uomo che crea Corbucci cerca la vendetta: è un uomo ferito, in crisi, solitario ed è uno straniero. Non sopporta i potenti della città, quindi è un ribelle e va contro il potere. Sono cowboy storti, che non sono così vittoriosi. Django – la serie, è stato sceneggiato da Leonardo Fasoli e Maddalena Ravagli, io ne sono la regista e ho cercato di mantenere l’ambientazione, come ad esempio un aspetto che caratterizza l’opera di Corbucci è la sua crudezza (fece anche scandalo per questo). Personalmente ho cercato di lasciare questo aspetto nella serie, la tensione interiore dei personaggi, come anche il fango del paesaggio, che è inquietante quanto moderno. Quello che stiamo vivendo attualmente è un periodo di illusioni perdute per citare Balzac: non dobbiamo più cambiare il mondo, ma conservarlo.

Quando non ti rimane più niente, puoi riparare i danni che sono stati fatti, e questa tematica abbastanza sotterranea, di un Django che ha sbagliato tutto e non si è preso le sue responsabilità ma torna, perché c’è una seconda possibilità. La serie, che racconta non solo di donne forti, ma in fondo la crisi di un modello maschile, patriarcale, possiede il tema dell’inclusività (chi è diverso, perché è diverso) ma anche un mood sentimentale e malinconico: abbiamo cercato di far respirare il pop.

L’aspetto ingaggiante, specialmente dal punto di vista visivo, grazie ai collaboratori, gli scenografi, il direttore della fotografia: mantenere un equilibrio tra il voler rendere omaggio, rispettare i codici, ma provare a trovare una cifra che fosse nostra, parlando di ciò che adesso brucia e di ciò che ci sta intorno. Bisogna rovesciare lo sguardo. Essendo una coproduzione italo-francese, girata in inglese, mi sono ritrovata con quattro grandi blockbuster e con idee a volte diverse tra loro.

Riprese e montaggio di Maria Torluccio, Martina Biancarini, Diego Drago, Fabio Lipari, Alessandro Malpica

Infine, si è parlato del documentario italiano oggi:

Quella del documentario è un’operazione che funziona bene non da ora, ma da alcuni anni. Ancora prima della serialità, ha contaminato il cinema di finzione. Si fa fatica a farli vedere, a distribuirli, ma penso sia imprescindibile. Approccia una realtà, anche prossima a noi, significa interrogare, sentire il battito, comprendere la realtà che è complessa ma appassionante. Chi scrive non può non portare dentro di sé le cicatrici della storia: questo per me è un manifesto fondamentale!

Django – la serie è disponibile su Sky e NOW dal 17 febbraio: protagonisti Matthias Schoenaerts e Noomi Rapace. Nel cast anche Nicholas Pinnock, co-protagonista con Lisa Vicari, oltre a Camille Dugay (figlia di Francesca Comencini), Vinicio Marchioni, Thomas Trabacchi e, al debutto, Manuel Agnelli.

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