"Do il mio benvenuto al digitale, anche se rimango un uomo di celluloide." Incontro con Werner Herzog

Werner Herzog a Torino, per la retrospettiva completa del suo lavoro giocato tra finzione e realtà, di cui l’ultimo film in anteprima Encounters at the end of the world è la perfetta sintesi. Verità, trasparenza e follia, queste sono le forze che lo hanno mosso per quarantacinque anni ai margini e dentro al cinema. (VIDEOIL PROGRAMMA DELLA RETROSPETTIVA DEL MUSEO DEL CINEMA IN PDF

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Il regista tedesco Werner Herzog è a Torino per presentare la retrospettiva completa dei suoi lavori curata al Museo Nazionale del Cinema.

Quarantacinque anni di cinema e cinquantadue film (più un corto in super8 girato a 16 anni) che spaziano dalla finzione al documentario, rompendo spesso le barriere tra queste due modalità, come del resto lui stesso dichiara: «Faccio fatica a fare una distinzione tra finzione e documentario, so che ci sono delle linee di divisione, ma non mi fanno sentire a mio agio».

E se spesso elementi di fiction si accompagnano ad immagini di repertorio, Herzog spiega: «che questo tipo di “invenzione” non mira ad ingannare lo spettatore, ma, al contrario, lo porta ad arrivare vicino a una verità intensa, alla verità estetica». È quindi la trasparenza che Herzog cerca come lui stesso dichiara: «rendere visibile tutto ciò che è nascosto dietro una tenda o un muro, per scoprire qual è il panorama al di là e quali sono gli individui che vivono dall’altra parte».

 

Ormai è cambiato il cinema. Molte barriere sono cadute soprattutto con il digitale e i canali televisivi. Lei come si trova?

Ho assistito a questo cambiamento e apprezzo tutto questo, o almeno una parte di esso. Do il mio benvenuto al digitale, anche se rimango un uomo di celluloide.

L’avvento dei canali televisivi come MTV o di spettacoli come i reality non mi preoccupa. Nel corso di migliaia di anni l’uomo ha superato mille difficoltà e ha sempre sentito la necessità di narrare e lo farà anche con l’esistenza di MTV.

 

Qual è il suo rapporto con il suo proprio inconscio personale? Quando gira i suoi film, cerca di sondare, di utilizzare al meglio l’inconscio collettivo?

Io credo che uno dei problemi del XX secolo sia stato la psicanalisi, un errore catastrofico e io mi rifiuto di seguire questa stupida stupidaggine. Tuttavia esiste nella visione collettiva ed è come se ci fossero le stesse immagini, le stesse visioni in noi che possono essere scoperte sullo schermo nel caso del cinema. L’esempio migliore che mi viene è la Cappella Sistina di Michelangelo, perché il pathos umano esisteva da sempre, da millenni e Michelangelo è colui che ce l’ha fatto vedere.

L'incontro con Herzog (al centro)  al Museo del Cinema di Torino. Alla sua destra la nostra Grazia PaganelliCi può dire due parole sul suo ultimo film?

Encounters at the end of the world è stato una sorpresa anche per me, sono rimasto affascinato da una sequenza di immagini girate sott’acqua, sotto la calotta antartica e ho scoperto luoghi di rara bellezza. In genere preparo prima i film che giro, ma nel caso di  Encounters at the end of the world mi sono trovato privo della possibilità di fare alcun sopralluogo. E chiunque avrebbe potuto fare lo stesso film, perché dal punto di vista tecnico non è stato usato nulla di particolare.

 

Un uomo di tale profondità, come si emoziona, che cinema guarda, cosa legge, cosa la interessa?

Sicuramente ci sono film che mi commuovono, ma non ne vedo tanti, al massimo 10 all’anno: Padre Padrone dei Taviani mi piace molto perché il protagonista ha una storia come la mia. Ma le emozioni maggiori mi vengono suscitate dalla letteratura e dalla musica. Per esempio ho letto le Georgiche di Virgilio, che ha influenzato Encounters at the end of the world: questo concetto di innamorarsi del mondo, il fatto di dare un nome alle cose, alle pecore, alla natura, dare un nome sempre.

 

Lei ha portato la cinepresa dappertutto come nessuno, c’è qualche luogo, anche interiore, dove non è riuscito ad arrivare?

Vi sorprenderò ma il mio prossimo film di finzione è ambientato tra Londra, Parigi e i Pirenei, poi ho anche un’idea di un film in Birmania, ma la Birmania è adesso un Paese molto complesso. Inoltre ho un progetto più a lungo termine, probabilmente un documentario, sulle lingue che stanno morendo o più precisamente sulle persone che parlano una lingua che sta per scomparire e questo lavoro mi porterà in Australia, in Nuova Guinea e nel Pacifico Sud Occidentale.

La parte del progetto và al di là del film, è un imperativo culturale. In Encounters at the end of the world c’è un discorso sulle lingue che stanno morendo: noi siamo consapevoli del rischio di estinzione delle balene, del leopardo delle nevi, ma non abbiamo la consapevolezza collettiva di quest’altro fenomeno che sta avvenendo, cioè, nell’arco della vita di una giovane generazione, il 90% delle lingue parlate sul nostro pianeta scompariranno senza che permanga di ognuna di queste lingue una documentazione scritta.

 

Il lavoro del Museo Nazionale del Cinema cominciato un anno fa e confluito nella totale riproposizione dell’opera di Herzog, con l’aggiunta di una mostra di immagini dai set, spezzoni di film e videoinstallazioni, e di un concerto ispirato ai lavori del regista, è quindi l’occasione per scoprire e riscoprire, entrare e guardare il mondo di un autore estremo sempre alla ricerca dell’invisibile nel visibile, capace di ipnotizzare i suoi attori e il suo pubblico (come in Cuore di vetro); un uomo che, come il suo lavoro, è sempre stato “sull’orlo della follia”.

 

 

IL VIDEO DELL’INCONTRO

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