(doc) "Adisa o la storia dei mille anni", di Massimo D'orzi


Un lavoro quasi naturalistico sull'immagine e sul tempo, dilatato e afferrato oltre le azioni. Girato nel 2004 è di nuovo in alcune sale italiane, e contemporaneamente esce in libreria in DVD con libro allegato, grazie a Il Gigante e Infinito Edizioni

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 I Rom kaloperi sono stanziali: hanno delle case, mandano i figli a scuola, non parlano volentieri il romanì – anzi, scopriamo che alcuni non lo conoscono proprio –, lavorano il rame e non vedono di buon occhio la vita "tradizionalista" degli altri gruppi e sottogruppi Rom, dediti al nomadismo e all'accattonaggio. 
Massimo D'orzi è andato nei loro villaggi, nel cuore della Bosnia Erzegovina, nell'inverno del 2004. Tito, la guerra, l'ex-Jugoslavia, Indira Gandhi. Li ha ascoltati, i kaloperi, intervistati.  Soprattutto li ha osservati a lungo, in un alternarsi di primi piani e campi medi e lunghi che li legano inevitabilmente al territorio che abitano. 

Adisa o la storia dei mille anni è il risultato di un viaggio invernale: un risultato non immediatamente catalogabile, poiché l'etichetta documentaristica sembra essere allontanata dal regista con un inizio denso di pathos, accompagnato dalla fisarmonica di Hazdovic Ruzdija e da parole che, riprese poco dopo da uno dei kaloperi, fanno temere che di lì a poco ci si troverà di fronte all'ennesimo ritratto pietistico e condiscendente verso i Rom. Fortunatamente non è così.
La sorpresa narrativa, che è poi sorpresa culturale, è quella di trovarsi di fronte un gruppo Rom di cui si sa poco, legato alle proprie origini, – la storia dei mille anni è proprio la storia che comincia più di mille anni fa nell'India medioevale, da cui gli zingari sanno di venire, come raccontano alcuni di loro, eppure anti-tradizionalista, almeno verso i gruppi Rom dediti a furti e elemosina, nei confronti dei quali provano addirittura vergogna, – " (…) non hanno un minimo di buona educazione", risponde una ragazza del villaggio all'intervistatore che le chiede perché si senta diversa dagli altri Rom e per quale motivo li eviti.

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La sorpresa stilistica è quella di trovarsi di fronte un documentario degno della migliore tradizione antropologica, rigoroso nonostante i tentativi, – soprattutto in apertura e in chiusura, – di confezionare un involucro finzionale.
E invece Adisa è, nonostante le già citate premesse, un lavoro quasi naturalistico sull'immagine e sul tempo, dilatato e afferrato oltre le azioni. D'orzi privilegia i tempi morti con una sicurezza quasi da documentario geo-antropologico televisivo: ma è proprio questo uno dei punti di forza di Adisa, la lentezza che, oscurando ogni traccia di faciloneria sociale e sociologica, immerge i kaloperi nello spazio del loro tempo e del loro territorio. 
Bella l'idea del titolo, bello il volto di Adisa, una bambina intervistata insieme a sua nonna. Due generazioni a confronto, gioco facilmente rintracciabile in molti documentari, ma soprattutto il volto pulito, illuminato flebilmente, della piccola che risponde – lentamente, e vediamo i dubbi e le risposte prima nei suoi occhi e poi nelle parole, – alle domande che le vengono poste. 

Peccato per la sequenza finale, che riprende l'intento – ingannevole, fortunatamente – iniziale. Non si sentiva proprio il bisogno di poesia forzata e di quel tocco di ( auto) indulgenza compiaciuta. Ma tuttosommato il valore di Adisa resta intatto, e l'errore si perdona.
Adisa riesce su alcuni schermi italiani e approda in libreria, con una confezione, DVD e libro, con alcuni interventi inediti, tra cui quello di Silvio Soldini. 

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