(doc) "Il mio cuore umano", di C. Quatriglio

Nada in Il mio cuore umano
La parabola esistenziale e artistica di Nada Malanima, raccontata in questo documentario
presentato nell'agosto 2009 al Festival di Locarno, si sviluppa in un ritratto intimo ascrivibile alla poetica del documentario femminile italiano: una costante ricerca d'identità

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Nada in Il mio cuore umanoDal vagito di una neonata al canto di donna adulta, di artista matura e riconquistata. In mezzo scorre una vita intera ma le due grida sono entrambe manifestazioni di auto-affermazione, del desiderio di urlare al mondo la propria presenza, il proprio esserci.
La parabola esistenziale e artistica di Nada Malanima, raccontata da Costanza Quatriglio nel documentario Il mio cuore umano, tratto dall'omonimo romanzo autobiografico della cantante e presentato la scorsa estate al festival di Locarno, si sviluppa armoniosamente su due linee di racconto che non cessano mai di intrecciarsi: quella della sfera privata, di un luogo d'origine così radicato nell'animo della ragazzina di provincia, di una famiglia, raffigurata soprattutto dal legame prorompente con la figura materna, e quella della sfera pubblica, artistica, che traccia un percorso di crescita ancor più evidente, 'marcato' da canzoni e look sempre più decisi e forti, che – come racconta la protagonista in uno stralcio di intervista degli anni Ottanta –  dal "cosa farò se te ne vai" passano al "se te ne vai è peggio per te", offrendosi così anche come ritratto 'aperto' di una generazione dalla femminilità via via più consapevole.
Scandito in tre capitoli – Se io sono qui a cantare e voi siete lì è solo un caso; Cammino sui vetri e non penso al dolore; A volte mi trovo nella direzione di un'altra vita  i cui titoli rendono conto di una maturazione sofferta, imperniata su scelte di vita imposte dall'esterno e su una difficile riappropriazione di sé, il profilo di Nada realizzato da Costanza Quatriglio si apre anche a rimandi verso opere decisive per un nuovo corso del documentario italiano, che hanno affrontato al meglio una condizione femminile liminare, sempre in divenire, costruita su una costante ricerca di identità tradotta spesso in un confronto imprescindibile con una figura materna ingombrante ma allo stesso tempo assolutamente incisiva.
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Concedendo particolare rilievo al complesso rapporto madre-figlia rievocato da Nada,
 Il mio cuore umano si inserisce  infatti nel filone più soggettivo del cinema documentario, caratteristico delle opere di Alina Marazzi e di lavori a esse analoghi come Ragazze la vita trema di Paola Sangiovanni, a cui risulta affine, per certi versi, anche l'ultima pellicola di Francesca Comencini, Lo spazio bianco.
In particolar modo, Il mio cuore umano sembra legarsi a doppio filo a Un’ora sola ti vorrei, da un lato per la comune attenzione sui medesimi meccanismi del ricordo e della memoria, sempre permeati da un’emotività potente e viscerale, raggiunta nell'opera della Marazzi con l’ausilio della voce dell'autrice a evocare quella materna e qui, invece, grazie all’immagine della stessa protagonista; dall’altro perché anche la storia personale della cantante toscana è segnata dalla presenza/assenza di una madre malata, vicina nel cuore ma irraggiungibile nella realtà fisica, se non per brevi attimi, in cui al canto (e qui torna in causa la memoria, nella forma di vecchie odi paesane alla Madonna) è concesso di colmare il divario tra presente e passato o tra realtà e isolamento della malattia.
È in questo limbo, in questo spazio bianco dell’attesa di un segno,che si delinea l’identità femminile, spesso sospesa tra accettazione e ribellione dinanzi al legame con una tradizione simboleggiata in maniera così conflittuale dalla figura materna, e dunque traducibile soprattutto in un problema di ruolo.
Un nucleo tematico che Costanza Quatriglio sviscera questa volta con un ritorno alla forma documentaria, ma che era parte anche del suo più noto film a soggetto, L'isola. Al pari di Teresa, la ragazzina che rifiutava gli stereotipi femminili per il desiderio di diventare pescatore, anche la Nada bambina che emerge dai ricordi della cantante ormai adulta respinge il destino di successo e fama che altri sembrano aver programmato al posto suo, nonché il distacco dall’amato borgo natio – reale nel documentario, puramente simbolico nel film a soggetto –  avvertito come trauma, cui si somma la straniante avventura in città rimandata dalle immagini di repertorio delle trasmissioni televisive e dei festival canori montate da Ilaria Fraioli.
Costanza Quatriglio lavora concentrandosi proprio su questa dicotomia spaziale, accostando ai caldi paesaggi della campagna toscana, che avvolgono la Nada adulta nella contemporaneità, il freddo bianco/nero degli spettacoli da lei tenuti negli anni Sessanta, ripercorrendo certe atmosfere del primo Olmi, che narravano lo smarrimento di fronte a un’esperienza urbana percepita come turbativa, ma preoccupandosi di mantenere sempre vivo il flusso emotivo alla base del romanzo, le atmosfere intime che conferiscono al racconto visivo il fascino e il calore avvolgente di una fiaba raccontata attorno al fuoco.
 
 

 Nada a Sanremo nel 1969 con "Ma che freddo fa"

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    3 commenti

    • molto interessante, sembra bello…. ma il film è uscito in sala?

    • evviva Nada! bel documentario per una cantante straordinaria!Grazie Costanza, grazie Nada!

    • ho visto il film per Rai Storia……mi è piaciuto!! …(bellissima la canzone "pioggia d'estate). Qualcuno sa dove posso reperire il DVD?
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