(doc) – “La voce del corpo”, di Luca Vullo


Allegramente confuso e apertamente dispersivo come una delle conversazioni a larghi gesti tra conterranei che racconta, il film rinuncia ad una forma chiusa per dare alla cornice estetica la stessa natura eterogenea e “esplosa”, insitamente teatrale e travolgentemente invasiva, del racconto gesticolato siciliano

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Luca Vullo continua il suo prezioso lavoro di documentazione sulla storia e la cultura della sua Sicilia, che in passato ci ha regalato almeno un’opera di grande importanza come Dallo zolfo al carbone, film che continua a girare e a venire apprezzato in festival e rassegne internazionali.
Stavolta Vullo tenta di divulgare, con tanto di spiegazione storico-antropologica, l’innata vocazione dei siciliani all’utilizzo di gesti e movimenti del corpo come linguaggio alternativo a quello verbale, e lo fa con una sorta di formula spuria che alterna interviste canoniche a professori, esperti locali e celebri personalità dello spettacolo sicule (tra cui Pippo Baudo e Emma Dante) con sketch muti (alcuni malauguratamente simili a certe barzellette sceneggiate che si possono incrociare sulle tv locali, uno in costume quasi pasoliniano) interpretati dal duo di attori teatrali Rosario Petix e Vincenzo Volo, e una sorta di parodia della valletta/voce narrante dalla cadenza ultraimpostata e il portamento da vamp di un documentario televisivo in giro tra le piazze e le viuzze di Palermo e Catania, affidata alla simpatica Evelyn Famà.

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Il risultato è allegramente confuso e apertamente dispersivo come una delle conversazioni a larghi gesti tra conterranei che Vullo racconta nel film, costellato da facce di siciliani impegnati in discorsi che non ascoltiamo (coperti da fantastici pezzi di leggendarie band regionali come i Tinturia o gli Agricantus), articolati in un complessissimo alfabeto di movimenti di sottolineatura e rafforzamento del concetto (in)espresso. Rinunciare ad una forma chiusa è allora forse una maniera per dare alla cornice estetica del film la stessa natura eterogenea e “esplosa”, insitamente teatrale e travolgentemente invasiva, del racconto gesticolato siciliano.

Come nel bel cortometraggio di fiction VRT con Massimo Dapporto e Benedicta Boccoli, la sensazione nonostante tutto resta quella che a divertirsi davvero siano a conti fatti più Vullo e il fido compare Petix che gli spettatori: La voce del corpo trasmette sicuramente una passione sincera per il proprio mestiere e la propria terra, e una genuina voglia di giocare con i mezzi del cinema e gli stereotipi e cliché del documentario etnografico, che lo lasciano però alla fine sostanzialmente irrisolto tra il divertissement a sfondo situazionista, l’esercizio grottesco e lo studio culturale postmoderno. Ma è forse anche un po’ l’intenzione degli autori, e probabilmente il film va visto soprattutto come un ulteriore tassello del grande racconto siciliano che Vullo va portando avanti con coerenza di opera in opera.

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