Documentare i diritti 2024. Incontro con la montatrice Ilaria Fraioli su Mur
La masterclass organizzata dal RIDF con la montatrice Ilaria Fraioli è stata preceduta dalla proiezione dell’esordio alla regia di Kasia Smutniak. L’incontro ne ha svelato la lavorazione
Nell’ambito dell’edizione 2024 di “Documentare i diritti”, si è tenuta la masterclass dal titolo La drammaturgia del montaggio e la realtà a cura della montatrice Ilaria Fraioli, che ha illustrato il suo lavoro di montaggio in un incontro aperto al pubblico, moderato da Christian Carmosino, direttore del RIFD, e Giacomo Ravesi, docente di Didattica del Cinema e dell’Audiovisivo.
La masterclass è stata preceduta dalla proiezione del film Mur, montato dalla stessa Fraioli e diretto da Kasia Smutniak. Per il suo esordio alla regia l’attrice polacca ha lavorato a un documentario di grande coraggio tornando nel paese Natale per filmare il muro anti-migranti eretto dal governo polacco nel 2022 al confine con la Bielorussia, nell’ostile volontà di impedire ogni accesso ai rifugiati reduci dal conflitto russo-ucraino.
“Può essere utile che io vi racconti il prequel del film – esordisce Fraioli – un’inchiesta che il giornalista Diego Bianchi propose a Kasia Smutniak nel febbraio 2022 per uno speciale di Propaganda. Fecero un viaggio insieme lungo la zona rossa al confine, con una modalità di inchiesta tipica di una certa idea di indagine televisiva. Mur ha preso corpo proprio sulla falsa riga di questo modus operandi, riproducendo molti stilemi visivi”.
L’esperta montatrice, però, ci tiene a fare chiarezza sulla natura dell’opera prima di Smutniak, ibrida tra due polarità come il documentario di inchiesta e il film di finzione. “Se il prequel di Mur è stato lo speciale di Propaganda con Diego Bianchi – spiega – il suo sequel è senz’altro Green Border, di Agnieszka Holland, che per costruire la messinscena del film ha interpellato la gran parte degli attivisti che abbiamo incontrato noi per il film di Kasia. Allo stesso modo Green Border è un film di finzione fortemente documentato, basato sulle vicende reali raccontate dagli attivisti”.
Dall’inchiesta da prima serata alla finzione di un dramma esistenziale; passa da qua il Mur di Smutniak e Farioli che la montatrice stessa considera “fragile, difettoso, naif addirittura, nel voler tenere insieme, a volte in modo consapevole altre meno, modalità filmiche e documentarie diverse. La prima – spiega – è appunto l’indagine del film nel sondare temi come la libertà di spostarsi in cerca di condizioni migliori, ragionando sul concetto di confine così come dovrebbe essere inteso, cioè come un elemento che unisce due diverse realtà anziché separarle; la seconda modalità è quella intima e personale che riguarda il ritorno alle origini di Kasia con delle scene che hanno una loro personale drammaturgia; la terza lettura, invece, è più vicina alle forme del road movie mentre guarda alla relazione tra Kasia e la sua amica Marella che riprendeva. Si tratta di un film che, appoggiandosi su un tema di attualità, armonizza l’inchiesta, la ricerca personale e la complicità di un’amicizia”.
Dopo aver spiegato la natura tripartita di Mur, la montatrice, sollecitata da Giacomo Ravesi, ne spiega le ragioni drammaturgiche. “Quando ho visto il girato ho avuto da subito la sensazione che ci fossero diverse modalità di ripresa, scelte e direzioni possibili. La sfida, in sede di montaggio, è stata quella di tenerle assieme. Alla fine, quello che ne è uscito fuori è stato un film imperfetto, ma è proprio l’imperfezione e la smarginatura, come piace dire a me, che lo rende profondamente personale, ancora di più di altri film intimi a cui ho lavorato”.
Poi entra nello specifico del lavoro svolto con l’autrice quando racconta: “In sede di montaggio, seguendo i suggerimenti miei e di Marella Bombini, Kasia si è resa conto che forse quello che aveva girato era un film che mettesse in discussione la sua idea del mondo e del suo paese di origine”.
Una messa in discussione che si manifesta attraverso il “proliferare di muri” durante il viaggio, come dice la stessa Fraioli, che permette a Kasia di rinegoziare la sua condizione di infanzia, quando dalla finestra di casa dei nonni osservava soltanto un muro, senza vedervi però alcuna barriera o confine.
“Kasia ha chiamato in causa sé stessa, il confronto con le proprie origini e gli attivisti operativi, senza far vedere le disgrazie dei migranti per evitare la componente voyeuristica del film di denuncia puro e semplice”. Chiosa così Ilaria Fraioli parlando di Mur come “l’incontro di una individualità intesa come la ricerca nelle proprie origini di confini che si sono accumulati durante la sua vita”.