DOCUMENTARIO – Punto Doc (novembre/dicembre)
Una panoramica sul mondo del documentario, visto attraverso i premi dei maggiori festival nazionali ed internazionali: Viennale, festival di Roma, Los Angeles, Copenaghen documentary film festival , festival dei Popoli di Firenze, Torino film festival. Tutte le notizie in anteprima le trovi sul profilo facebook Punto Doc
All'Afi – Los Angeles international film festival (3 – 10 novembre) miglior documentario è Jiro dreams of sushi di David Gelb. Per oltre mezzo secolo, il maestro di sushi Jiro Ono, 85 anni, ha dedicato la sua vita a perfezionare la sua arte. Un’etica del lavoro senza pari ed una tecnica impeccabile hanno fatto guadagnare al suo ristorante, il Sukiyabashi Jiro, fama per il miglior sushi del Giappone, aggiudicandosi le tre stelle della Guida Michelin. Dai dettagli dell'asta del tonno al modo corretto di massaggiare un polpo, il regista David Gelb riprende tutti gli aspetti del mestiere di Jiro lungo l’intero processo di preparazione del sushi artigianale. Il film non è soltanto un tributo alla grandezza dell’arte di Jiro ma si sofferma anche sul complicato rapporto con il figlio maggiore Yoshikazu che, apprestandosi ad ereditare il ristorante, convive con la pressione di essere il discendente di una leggenda del sushi.
Al Copenaghen international documentary film festival (4 – 14 novembre) vince Two years at sea di Ben Rivers. Un uomo di nome Jake vive in mezzo alla foresta, dove si aggira in qualunque condizione climatica facendo sonnellini nei campi e nei boschi avvolti dalla nebbia. Costruisce una zattera per passare il tempo seduto in riva a un lago. Dorme in una roulotte che fluttua su un albero. Lo si vede in tutte le stagioni, mentre conduce una frugale vita di sussistenza. Trascorre il tempo dedicandosi a strani progetti, vive il sogno radicale di quando era più giovane, un sogno per realizzare il quale ha trascorso due anni di lavoro in mare. Presente all'ultima edizione del festival di Venezia nella sezione Orizzonti. Miglior film danese è The will di Christian Sønderby Jepsen. A volte la realtà supera anche le più incredibili “cock and bull stories”. Tre fratelli stanno per ereditare una fortuna dal nonno: una manna dal cielo per risolvere i problemi che ognuno di loro ha, non ultimi quelli con droga ed alcol. Ma ci sono due ostacoli che devono essere superati prima che i tre possano mettere le mani sulla ricca eredità. Tutti gli altri premi qui.
Miglior documentario al Festival dei Popoli (12 – 19 novembre) è Armand 15 ams l'été di Blaise Harrison. Armand è un ragazzo un po’ robusto, ma i suoi movimenti non sono impacciati. Non è a disagio nel suo corpo, né con i suoi coetanei. Un coté femminile sviluppato gli consente di condividere le emozioni dell’estate con altre ragazzine. Lontano dai clichè, l’autore, parte da Gus Van Sant e Larry Clark per giocare con l’estetica americana e ribaltarne i contenuti: a 15 anni un’estate nel sud della Francia ha come colonna sonora il suono dei grilli, dei messaggini, dei fuochi d’artificio. Miglior regia per Argentynska Lekcja di Wojciech Staron. Janek, 8 anni, parte da Varsavia con la sua famiglia per giungere in un piccolo paese nel nord dell’Argentina abitato da discendenti di emigrati polacchi. Il bambino si trova circondato da un mondo completamente nuovo, in mezzo a persone di cui non conosce né lingua né abitudini. Con il tempo stringe amicizia con una ragazzina del luogo, Marcia, e inizia con lei un percorso di scoperta che cambierà la vita di entrambi. Menzione speciale per L’estate di Giacomo di Alessandro Comodin. E' estate, nella campagna del nord-est dell'Italia. Giacomo è un ragazzo sordo di 19 anni. Un giorno va al fiume per fare un picnic insieme a Stefania, sua amica d'infanzia. I due ragazzi si spingono talmente lontano dal sentiero conosciuto che finiscono per perdersi. Si ritroveranno soli e liberi durante un pomeriggio che potrebbe durare un'estate intera. La sensualità accompagnerà i giochi da bambini finché Stefania e Giacomo non sentiranno che l'avventura che hanno appena vissuto non è altro che un ricordo dolce e amaro di un tempo già perduto.
Al Taipei golden horse film festival (3 – 17 novembre) miglior documentario è Hometown boy di Yao Hung-I. Il film racconta del famoso pittore cinese, Liu Xiao-Dong, che all'età di 17 anni ha abbandonato la sua città natale per studiare arte. Trenta anni dopo, decide di ritornare per ridipingere la sua città. Il ritorno a casa è molto importante per un artista. Si confrontano i ricordi d’infanzia che hanno ispirato per tutta la vita la sua arte con la fisionomia attuale della città. Nomination per The man behind the book di Lin Jing-Jie e Young at heart: grandma cheerleaders di Yang Li-chou.
Al Festival del cinema africano a Verona (11 – 20 novembre) miglior documentario è iThemba di Errol Webber, Elinor Burkett. Immaginate un Paese dove muoiono più persone di AIDS, malnutrizione e mancanza di cure mediche, di tutti quelli che ogni settimana vengono uccisi in Afganistan, Iraq e Darfur insieme. Immaginate un Paese dove gli ospedali funzionano senza medici, i quartieri urbani possono restare anche mesi senza acqua e la disoccupazione arriva anche al 90%. Poi immaginate di spostarvi in quel Paese su una sedia a rotelle, senza il funzionamento delle mani, o con qualche altra disabilità, in una cultura dove i disabili sono etichettati come maledetti. Bene, ora smettete di immaginare perchè quel Paese esiste. Ithemba ci porta in Zimbawe per seguire la storia della band Lyiana: otto giovani musicisti che cercano di combattere i pregiudizi con ironia e tanta grinta.
All'Idfa – International documentary film festival di Amsterdam (16 – 27 novembre) miglior documentario è Planet of Snail di Seung-Jun Yi. Young-Chan è sordo e cieco fin dall'infanzia. Come dice lui stesso: "In principio era buio e silenzio, e l'oscurità e il silenzio erano con Dio. E quando io arrivai, loro sono venuti a me". Young-Chan non ha idea di come partecipare al mondo fino a quando non incontra Soon-Ho, che ha anche lei un handicap fisico. S sposano e lui impara a comunicare con il mondo esterno attraverso lei. Toccandosi dolcemente le dita l'un l'altro, è possibile capirsi. A volte è come se fossero la tenera riproduzione di un pianoforte. Questo documentario segue la coppia nella loro vita quotidiana, mentre sostituiscono insieme una lampadina, ospitano gli amici a casa, lavorano ad una piece teatrale, leggono un libro, scivolano giù per una montagna su una slitta. Premio della giuria a 5 Broken Cameras di Emad Burnat e Guy Davidi. Emad, un bracciante agricolo palestinese, ha cinque videocamere, e ognuna di esse racconta una parte differente della storia della resistenza del suo villaggio all'oppressione israeliana. Emad vive a Bil'in, a ovest della città di Ramallah. Inizia nel 2005 con la prima videocamera a registrare le ruspe che strappano gli ulivi dal terreno. Poi continua con la costruzione di un muro nelle terre dei suoi compaesani per separare gli insediamenti ebraici da quelli palestinesi. Un documento intenso e personale su di un villaggio che lotta contro la violenza e che alterna le immagini della cruda realtà con teneri fotogrammi che catturano i primi passi al mondo di suo figlio Gibreel, nato durante i primi giorni di resistenza ai coloni ebrei. Tutti gli altri premi qui.
Al Filmmaker doc film festival (22 – 30 novembre) vince Sack Barrow di Ben Rivers. Nel 1931, nella periferia di Londra, venne aperta una fabbrica per dare lavoro ai reduci e agli invalidi di guerra. Nel 2010 la fabbrica è stata liquidata. Il film è il racconto dell'ultimo mese prima della chiusura. Osservando l'ambiente e la routine quotidiana degli operai rimasti, affiora un universo parallelo, che si è formato negli anni di microscopici processi chimici e geologici. Un testo, tratto dal romanzo "The Green Child" di Herbert Read, descrive la discesa in un mondo di grotte e di falde sotterranee. Altri premi: Cadenza d’inganno di Leonardo Di Costanzo (nel 2003, il regista si imbatte in un ragazzo borderline e decide di filmarne l'esistenza turbolenta. Incontra altri bambini del vicinato, raccoglie i loro sogni e bisogni, a contatto con una realtà sociale estremamente difficile. Un giorno il ragazzo decide di scomparire e la lavorazione del film si interrompe. Anni dopo, in seguito ad alcuni nuovi eventi, il regista ricorda e pensa); La fabbrica è piena (tragicommedia in otto atti) di Irene Dionisio (ottobre 2010. La Fiat Grandi Motori, stabilimento storico torinese, sta per essere demolito. Al suo posto sorgerà un centro commerciale. All'interno due senza tetto rumeni, e un silenzioso veterano della fabbrica abbandonata, soprannominato l'amministratore delegato, vivono in un limbo tra disperazione ed euforia, violenza repressa e profonda umanità. La fabbrica in disfacimento diviene palcoscenico della loro personale ed archetipica “tragicomedìa”, il cui ultimo atto si protrarrà fino alla fase finale della demolizione).
Il premio come miglior documentario internazionale al Torino film festival (25 novembre – 3 dicembre) è andato a Les éclats (ma gueule, ma révolte, mon nom) di Sylvain George. Calais, nord della Francia. Migranti che aspettano di riuscire ad attraversare La Manica, conquistare la traversata, raggiungere l’Inghilterra. Nel frattempo si tengono lontano dalla polizia. Attendono, si lavano, fumano, si nascondono, si scaldano mentre raccontano della fatica, dei soprusi e delle loro identità travolte. Il film si compone dei frammenti sfuggiti al film "Qu’ils reposent en révolte". Frammenti di voci, frammenti di riso, frammenti di rabbia; brandelli di parole, di immagini e di memoria; parole del vicino e del lontano, di ieri e di oggi, d’Africa, Medio Oriente, Europa. Menzione speciale a The color of pain di Lee Kang-Hyun. Secondo l’attuale legge coreana promossa dal dipartimento per la salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, infatti, ogni ambiente lavorativo con un numero di impiegati compreso tra cinquanta e trecento persone deve essere ispezionato da specialisti di medicina del lavoro. Lungo il percorso, si incontrano diversi ambienti: da un’industria metallurgica alle serre per la coltivazione delle fragole, sino ad alcuni uffici informatici. Vengono in tal modo esplorate sia le condizioni di lavoro diffuse nel paese, sia le istanze mediche cui quegli spazi dovrebbero adeguarsi, verificando così la reale situazione dei luoghi in cui le persone passano la maggior parte della propria vita. Nella sezione Italiana.Doc il premio miglior documentario italiano è andato a L’orogenesi di Caldwell Lever. Dieci atti per raccontare le origini dell’Italia e della sua civiltà. Accompagnati dalla musica di Claudio Monteverdi e dai versi dei grandi poeti della nostra letteratura letti da Giorgio Albertazzi, assistiamo così, incorniciata dalle immagini delle Alpi e degli Appennini, a una vera e propria rappresentazione di miti e leggende che ripercorrono la storia italiana dai Romani al Medioevo. Premio speciale della giuria a Il castello di Massimo D’Anolfi e Martina Parenti. Un anno dentro l’aeroporto intercontinentale di Malpensa, un luogo in cui la burocrazia, le procedure e il controllo mettono a dura prova la libertà degli individui, degli animali e delle merci che da lì transitano. L’aeroporto è un luogo strategico in cui si concentrano tutte le forze dell’ordine esistenti in un paese. Qui si sperimentano le nuove forme del controllo: un laboratorio permanente sulla sicurezza come nessun altro spazio pubblico riesce ad essere. Menzione Speciale a Freakbeat di Luca Pastore. Un road movie emiliano alla ricerca del “Sacro Graal” del Grande Beat: il nastro perduto di una mitica session fra l'Equipe 84 e Jimi Hendrix. Impossibile? Forse. Ma Freak Antoni, l'intellettuale demenziale, il teppista soffice, ci crede al punto da trascinare sua figlia Margherita su un vecchio furgone Volkswagen alla ricerca della mitica reliquia sonora. Altri premi per Ferrhotel di Mariangela Barbanente, Bad weather di Giovanni Giommi e Un mito antropologico televisivo di Maria Helene Bertino, Dario Castelli e Alessandro Gagliardo.
Le sinossi sono tratte dai siti dei festival, dai siti ufficiali dei film e da www.cinemaitaliano.info