DOCUSFERA #4 – Incontro con Costanza Quatriglio
La documentarista siciliana si è raccontata in occasione della retrospettiva a lei dedicata da Docusfera a novembre scorso, dagli esordi con L’isola e Il mondo addosso a Il cassetto segreto
“Una delle cose che mi è stata detta più al mondo dei miei film è “Che coraggio che hai, che film coraggioso”. Ecco, quando mi dicono che ho fatto un film coraggioso io mi incazzo”. La regista Costanza Quatriglio ha incontrato il pubblico presso la sala di Sentieri Selvaggi in occasione della retrospettiva a lei dedicata all’interno della nostra rassegna Docusfera. L’incontro è stato preceduto dalla proiezione del cortometraggio Breve film d’amore e libertà (2009), che racconta, tramite una serie di telefonate, il rapporto tra l’immigrato afghano Mohammad Jan e la madre, che lo credeva morto e non lo riconosce.
Jan era già stato tra i protagonisti di un altro film della regista, Il mondo addosso, e avrebbe anni dopo dato il suo apporto alla sceneggiatura di Sembra mio figlio, basato sulla storia della sua vita. Tre pellicole incentrate sullo stesso tema, quello dell’immigrazione, a cui Quatriglio racconta di essersi appassionata grazie ai suoi studi di giurisprudenza: “Ho studiato moltissimo il diritto minorile, mi piaceva da morire. La filosofia del diritto, i diritti umani, tutte queste cose complicatissime. E quindi ero ossessionata da questa storia dei minori non accompagnati. Mi dicevo: “Ma perché al compimento del diciottesimo anno di età, le persone che sono state inserite magari in percorsi di accoglienza o di studio ne restano fuori?”. Quindi, quando io ho deciso di fare Il mondo addosso, la mia idea era di raccontare delle storie a cavallo tra la minore e la maggiore età. In realtà è un documentario di pedinamento, che comincia a riflettere sul linguaggio e comincia a riflettere sulle soluzioni che vanno trovate quando ti trovi di fronte a certe situazioni, perché comunque la realtà o quello che ci circonda ci impone di trovare delle soluzioni per essere raccontata. Siamo noi ad essere responsabili di quello che facciamo”.
In Breve film di amore e libertà, secondo Quatriglio, l’utilizzo delle telefonate è fondamentale in quanto “la voce equivale alla lingua, quindi ho voluto costruire questo racconto fatto di ellissi continue attraverso l’unione della voce, della lingua madre e della lingua italiana, che lui si sforza di parlare con me. È un’opera di continua mediazione tra la propria origine, la propria natura, e io che guardo, io che ascolto, che mi permette di recepire cosa vuol dire lui e di avvicinarlo a me. Quindi l’uso della voce è narrativo, perché nell’ellissi tra la telefonata in lingua e l’elaborazione della telefonata passa tutto questo pensiero. È un uso politico, se vogliamo, della voce. Così come in Terramatta, dove il protagonista fa un gesto politico, perché è un analfabeta che si riprende la scrittura”.
Riprese di Celeste Bagaini e Antonio Feroce, montaggio di Michelle Salvatore
Ne Il cassetto segreto, invece, c’è un uso della voce “totalmente nuovo per me. Non avevo mai pensato neanche lontanamente che avrei fatto una cosa del genere nella mia vita. Quindi devo dire che all’inizio avevo anche delle resistenze. E mi ricordo che Letizia Caudullo, la montatrice di tanti film miei che purtroppo è morta, mi diceva “Tu non puoi non usare la tua voce, non puoi non mettere la tua voce”. Io non sapevo se ne ero capace, poi in effetti ho fatto questa voce che ho registrato con mezzi di fortuna, senza andare in studio: ho voluto mantenere una serenità nella voce e una certa immediatezza. In quella voce c’è un aspetto diaristico che mi consente di affrancare in qualche modo da quello che mostro. C’è un doppio livello: da un lato la storia, il racconto di mio padre, l’archivio, il Novecento, la mia casa, eccetera. Dall’altro lato, però, c’è una voce che porta il racconto in una dimensione diversa, per cui bisogna sempre fare un po’ lo slalom tra quello che vedi e una voce che ti veicola un sentimento”.
La regista – anche direttrice artistica della sede di Palermo del CSC – ha poi riflettuto sullo stato del documentario italiano, sostenendo che “rispetto al cinema reale c’è molta più consapevolezza, molta più coscienza, molto più desiderio. Quando ho cominciato io non sapevo che esisteva il documentario. Ho fatto il mio primo documentario senza averne mai visto uno, ho imparato a vedere documentari mentre li facevo. Oggi sento che c’è una maggiore libertà rispetto al pluralismo dell’offerta, nel senso che prima vivevamo in asfissia dovuta al fatto che non vi era pluralismo. Vi era sostanzialmente un monopolio, non c’era la possibilità tanto per gli autori che per i produttori di rivolgersi a più istituzioni, più enti. Adesso con le piattaforme in teoria c’è molta più libertà, apparentemente, si moltiplicano le possibilità che i film si possano fare. Poi è un grande equivoco perché si crea una standardizzazione di fatto desiderata, voluta. Tranne alcune eccezioni che poi vengono sempre premiate e applaudite”.