Don Jon, di Joseph Gordon-Levitt

scarlett johansson e joseph gordon-levitt in Don Jon's Addiction
Gioca sulla ripetizione come se il protagonista fosse chiuso in un labirinto esistenziale da cui non riesce mai ad uscire. C'è un riuscito meccanismo nel costruire l'oppressione nell'esordio nel lungometraggio dell'attore statunitense. Se questo però è il primo passo come regista di un percorso che porta anche ad altre soluzioni, può bastare benissimo così.

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scarlett johansson e joseph gordon-levitt in Don Jon's AddictionHa già lavorato con Christopher Nolan (Inception, Il cavaliere oscuro. Il ritorno) e Steven Spielberg e in progetti a piccolo budget che poi si sono rivelate delle sorprese come (500) giorni insieme e 50 e 50. E ora Joseph Gordon-Levitt, classe 1981, esordisce nel cortometraggio dopo 4 corti di cui tre d'animazione e Sparks (2009), quasi con lo spirito da indipendente nel modo di mostrar(si) con il suo personaggio schiavo delle proprie abitudini e ossessioni.

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Joe Martello (interpretato dallo stesso attore) è chiuso nel suo mondo. Tra la discoteca, le donne conquistate, gli amici, la famiglia, la palestra, la chiesa e soprattutto la sua dipendenza dal porno. Joseph Gordon-Levitt in Don Jon's Addiction gioca sulla ripetizione come se il protagonista fosse chiuso in un labirinto esistenziale da cui non riesce mai ad uscire. L'arrivo in chiesa, il modo in cui accende il Pc per vedere le sue immagini del desiderio o come è seduto a tavola con padre, madre e sorella, i suoi sguardi in discoteca appaiono come ripetuti, quasi riciclati, quasi le stesse inquadrature utilizzate più volte. Se Phil/Bill Murray in Ricomincio da capo era imprigionato nel tempo, Joe Martello lo è nello spazio. E neanche due donne diverse, da Scarlett Johansson a Julianne Moore, sembrano riuscire a infrangere quella barriera che non riesce mai a superare.

C'è un riuscito meccanismo nel costruire l'oppressione, ma poi le soluzioni adottate danno l'idea di un cineasta che sta cercando di confrontarsi con una scrittura (la propria) dove l'elaborazione non è sempre sinonimo di complessità. Don Jon's Addiction ha una bella partenza, una tensione che si carica anche dallo scontro dei dialoghi, poi a tratti il film sembra incartarsi con le proprie mani. Il percorso a tappe continuamente ripetuto appare come una strada stilisticamente più sicura rispetto il tentativo di mostrare lo smarrimento del protagonista proprio quando è costretto a uscire fuori dal proprio universo e ciò è evidente soprattutto con il suo incontro con la donna matura.

Joseph Gordon-Levitt ha tante buone idee e qualcuna di queste va a segno, sa dirigere gli attori e nelle scene in discoteca o davanti il computer sa mostrare l'erotismo sospeso tra il corpo e la mente. Se questo è il primo passo come regista di un percorso che porta anche ad altre soluzioni, può bastare benissimo così.

 
Titolo Originale: Don Jon's Addiction
Regia: Joseph Gordon-Levitt
Interpreti: Joseph Gordon-Levitt, Scarlett Johansson, Julianne Moore, Tony Danza, Brie Larson, Rob Brown, Lindsey Broad, Italia Ricci, Amanda Perez, Avery Sloane
Distribuzione: Good Films
Origine: USA, 2013
Durata: 90’

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    8 commenti

    • curioso come scarlett johansson al cinema (meglio, in alcuni film) parta sempre 'forte', ovvero con un personaggio che promette anche eroticamente sia al pubblico che al protagonista, per poi rivelarsi nella seconda parte una delusione sciatta, borghese e noiosa. mi chiedo se questa cosa le crei problemi, sembra quasi un pensiero inconscio di diversi registi su di lei. è come se dietro l'apparenza sexy non facessero che vedere una ragazzona classica sul cui erotismo un film intero non può reggere. altra cosa, un certo moralismo (che personalmente non mi dà fastidio) riscontrabile in alcune uscite ultime americane che hanno a che fare col sesso (vedi anche, in altro modo, the canyons). ora, dare del moralista a schrader è in questo caso fuori luogo, o non interessante, semplicemente il suo è un noir che segue un codice classico americano fatto di caduta e (intravedibile) redenzione, il sesso al limite c'entra poco. (1)

    • credo allora che il problema di scarlett sia il problema del 'sexy' americanamente (perbenisticamente) inteso. alla fine stufa, si diranno, non ti può durare un film. e un film ha quasi sempre questa formula riconoscibile di 'picco&caduta' – come un rapporto sessuale, laddove la caduta è uguale a agnizione, superamento del primo momento 'easy' in favore di un matrimonio duraturo che nel film diventa la parte 'profonda' e più seria. è un fatto però che: prendiamo the canyons: a livello di storia tutto scorre (cioè.. più o meno..) e non dico delude, però uno vorrebbe lindsay lohan più scientemente perversa di sesso e oltre, e invece poi è la ragazzina che ha dei problemi, delle ragioni.. bene.. è classico, poi il film è bellissimo.. forse l'unico personaggio totalmente estremamente 'negativo' credo sia stato la Patricia Arquette di Strade perdute, che ancora nel prefinale mi colpiva prodigiosamente di perversione e bellezza lontana(ma:altrifilm …

    • ecco, per chiarire (così chiudo, invitando magari i moderatori a porre un termine temporale all'intervento che dovrebbe essere solo un veloce appunto da fuori e non rimanere qui apposto a epigrafe nei secoli:fatelo sparire stasera o domani!), non che lindsay lohan debba essere chissà quale assatanata ecc., non è questa la direzione (ché poi sarebbe un ennesimo acme..), anzi potrebbe semplicemente subire o indurre altri.. ci sono infiniti canyons percorribili e il film fin dal titolo molto limpidamente ce li fa supporre, no, è che mi sembra che a un certo punto ci si fermi (ripeto: giustissimo..) e che magari personaggi la cui perversione possa essere intensa o indimenticabile.. poi rientrino come nei ranghi, e alla fine insomma vincono i buoni, perchè per di più il 'malato' commette un omicidio efferato, e quindi ci si schiera.. ecco, invece continuare su una linea ambigua, questo, proprio a livello di divertimento e esplorazione (lynch)

    • @vov ma se vuoi scrivere per Sentieriselvaggi non fai prima a mandare un curriculum alla redazione?

    • ah beh, se questo è il tenore delle risposte che si ricevono in un luogo che potrebbe essere di 'dialogo' (mi sembra fosse la stessa burocrate qui sotto a insegnarmi tempo fa le magnifiche sorti e progressive di internet dal punto di vista dei social: per comunicare bene ci vuole la @ che diamine, e poi questo, e poi quest'altro.. ma mai scrivere più di tre righe.. e mai uscire dalle righe!) cadon le braccia ma alzo lo stesso una zelantissima, dinaMizzata (veloce, per far presto a portar curricula come da giustissimo consiglio) bandiera bianca!

    • Tutta la vita con vov! Abbasso le maestrine! e poi chi ha detto che non si possono fare commenti lunghi e articolati? Io li leggo sempre con piacere.

    • Dai vov che il commento della maestrina era solo ironico, ti prendi troppo sul serio. Comunque anch'io li leggo con piacere i tuoi deliri, magari diventi una rubrica fissa del sito, il commentatore sbrodolone! hihihhihihihihihh!

    • ma perché bisogna sempre ridere? scrivo perché sento di dire una cosa che mi preme, altrimenti non lo farei. questo punto di vista 'sessuale' mi sembrava pertinente, dopo aver visto due film che, in un modo o nell'altro, trattavano dell'argomento. mi sembra cioè si rimanga in un confine classico dove l'eroe principale alla fine è quello che scopre i valori, o comunque ritorna nella strada giusta, ecc. non è una critica particolare, solo una prova del nove che ho fatto tra me e me, e tutte e due le volte sapevo che lindsay sarebbe 'rinsavita' e l'uomo tornato sui suoi passi dallo squallore masturbatorio (ironico). ma va bene. era solo una leggera prevedibilità a livello di storia unita a un'ombra moralistica. se poi una mi dice una cosa, tra l'altro stancamente già detta già sentita, in modo neanche particolarmente sorridente o insomma che fa ridere, cosa dovrei fare? ridere, fare tanti 'hihihihihihihi' come te? per far piacere a te?