Donald Trump “salva” TikTok

Con la firma di un ordine esecutivo il neo Presidente USA ha bloccato temporaneamente il ban del social network cinese per trovare un accordo con ByteDance e la Cina

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“Bentornato! Grazie per la tua pazienza e il tuo supporto. Come risultato degli sforzi del Presidente Trump, TikTok è di nuovo disponibile negli Stati Uniti!”. È il messaggio che compare agli utenti statunitensi che in queste ore riaprono TikTok, tornato attivo dopo il breve oscuramento degli scorsi giorni. Il 17 gennaio, infatti, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha confermato una legge, approvata dal Congresso e firmata dall’ex Presidente Joe Biden nell’aprile 2024, che imponeva alla società cinese proprietaria del social network, ByteDance, di vendere TikTok a un acquirente americano entro il 19 gennaio 2025. Pena la rimozione dell’app da tutti gli store sul territorio statunitense.

La legge, approvata e sostenuta sia dai Repubblicani che dai Democratici, è nata da preoccupazioni riguardo la sicurezza nazionale del Paese, legate alla possibilità che le enormi quantità di dati generati da TikTok vengano condivisi con il governo cinese. ByteDance ha sempre negato queste accuse (che non sono mai state provate) e ha fatto ricorso, appellandosi al Primo Emendamento della Costituzione, che garantisce la libertà di espressione. Dopo la conferma della Corte Suprema, però, la compagnia ha cambiato strategia, affidando il proprio destino al Presidente entrante Donald Trump. Durante il suo primo mandato, Trump si era scagliato contro TikTok, e fu il primo a tentare di bannare l’app nel Paese. Dopo le ultime elezioni, però, il Presidente ha convenientemente ritrattato le sue posizioni, anche perché è stato proprio grazie a TikTok se è riuscito a ottenere consenso dei giovani elettori (43% dei voti nella fascia anagrafica 18-29 anni, contro il 36% del 2020).

ByteDance ha quindi concentrato i suoi sforzi sul creare una narrativa che condannava Biden per aver firmato la legge e, allo stesso tempo, elogiava Trump come salvatore dell’app. Lo ha fatto tramite i suoi content creator, per i quali TikTok è una delle fonti di guadagno primarie, che nelle settimane precedenti al ban hanno invitato gli americani (riuscendoci) a passare ad un altro social cinese, RedNote, come gesto di protesta nei confronti dell’amministrazione Biden. Lo ha fatto perfino tramite il proprio CEO, Shou Zi Chew, che ha pubblicato un video in cui ringrazia Trump, definendolo “un presidente che capisce davvero la nostra piattaforma”. La strategia sembra aver funzionato: nelle scorse ore Trump ha annunciato, sul suo social Truth, di aver firmato un ordine esecutivo per posticipare la data di entrata in vigore della legge e permettere al suo governo di trovare un accordo. Secondo il Presidente, la soluzione ideale sarebbe dividere la proprietà dell’app a metà, tra ByteDance e un nuovo proprietario americano.

A questo proposito, recenti report di Bloomberg hanno rivelato che il governo cinese starebbe valutando un’acquisizione da parte di Elon Musk, già proprietario di X e aperto sostenitore di Trump, che ha anche relazioni economiche con la Cina tramite Tesla. Dell’acquisizione beneficerebbe sia X, sia la compagnia di Musk dedicata allo sviluppo dell’intelligenza artificiale, xAI, data la grande quantità di dati generata dai 170 milioni di utenti statunitensi di TikTok. ByteDance ha negato queste voci, mentre il governo cinese si è rifiutato di commentare.

La questione TikTok è in realtà solo parte di un conflitto più ampio e complesso tra Cina e Stati Uniti. Conflitto che non si può combattere sul piano militare, perché entrambe le potenze hanno interessi e relazioni commerciali vitali per le rispettive economie, e si combatte quindi sul piano dell’informazione digitale. Il dato informatico era già prima un asset di fondamentale importanza economica e politica, ma ora, con la gara allo sviluppo delle intelligenze artificiali, è diventato l’ago della bilancia definitivo. E mentre Meta e X instaurano rapporti sempre più stretti con l’amministrazione Trump e allineano le proprie politiche aziendali con l’ideologia del Presidente, TikTok era l’unico a mancare all’appello, l’unico su cui il governo americano non aveva alcun controllo. Ecco allora che il fatto che 170 milioni di americani di fatto “regalino” miliardi di dati a un Paese ostile diventa un “problema di sicurezza nazionale”. Come ammette lo stesso Trump, non si può rinunciare a un accordo che “potrebbe valere centinaia di miliardi di dollari, forse addirittura trilioni”.


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