Dossier 137, di Dominik Moll
Ispirato ai fatti realmente avvenuti nel dicembre del 2018, è un ottimo polar. Chirurgico, teso, appassionato e implacabile con una strepitosa Léa Drucker. CANNES78. Concorso

Si muove ancora sul confine tra ricerca della verità e l’ambiguità della giustizia il cinema di Dominik Moll, dopo l’ottimo La notte dei 12. Come il film precedente, anche Dossier 137 è un polar che s’immerge nelle zone oscure dell’istituzione poliziesca. Per Stéphanie (strepitosa Léa Drucker), il caso a cui sta indagando diventa un’ossessione simile a quella del nuovo capo della polizia interpretato da Bastien Bouillon in La notte dei 12.
Scritto dallo stesso regista con l’abituale sceneggiatore Gilles Marchand e ispirato ai fatti realmente accaduti nel dicembre del 2018, Dossier 137 segue la vicenda dell’investigatrice dell’IGPN (Inspection Générale de la Police Nationale), l’organismo che si occupa della condotta della polizia francese, che sta ricostruendo cosa è accaduto nel corso di un corteo dove ci sono stati dei violenti scontri tra le forze dell’ordine e i manifestanti del movimento dei gilet gialli dove uno di loro, Guillaume, è stato gravemente ferito. Chi è stato a colpirlo?
Già dai tesissimi controcampi degli interrogatori, Dossier 137 alimenta il conflitto. Moll non ha l’impeto di Olivier Marchal. Il suo cinema è più chirurgico, anatomico nel mostrare le dinamiche dell’incidente. Al tempo stesso segue i movimenti nervosi della sua protagonista che è un altro personaggio che lotta con i propri conflitti interiori ed esplora i limiti della sua moralità. Ogni suo gesto è improvviso, inatteso. Ma soprattutto il cineasta ‘mostra’ quello che prova, e fa avvertire i suoi pensieri mentre filma le sue azioni, come nella scena in cui vede al bowling il marito con la nuova compagna o in due grandi momenti del film, quello in cui incrocia la famiglia della vittima in un supermercato a Saint Dizier o segue una cameriera di un hotel di lusso in metropolitana che diventerà una figura chiave. Certo, Dossier 137 incrocia diversi punti di vista, spesso contrapposti. Da una parte c’è Stéphanie, dall’altra gli agenti sotto accusa. Poi i colleghi e i genitori della donna, il marito, il suo superiore, la famiglia della vittima. Ma spesso sono percepiti come li guarda la protagonista. Sotto questo aspetto quello di Moll è un film che si porta dietro quei turbamenti che lo avvicinano a quello di Joachim Lafosse, mantenendosi sempre in uno stato di persistente tensione, anche davanti a una scena dove non sembra che stia succedendo niente.
Dossier 137 spinge i conflitti senza avere necessità di infiammarli, mostra le pressioni gerarchiche all’interno della polizia a cui Stéphanie è sottoposta e come la sua indagine rischia di mettere in cattiva luce gli agenti dopo che sono stati considerati degli eroi dopo la strage al Bataclan, come le ha detto il marito. “Perché la gente detesta la polizia?” chiede il figlio alla madre. Ed è anche lo sguardo periferico del ragazzino che rivela la sua fragilità, anzi la sua impotenza come nel momento in cui sta ridendo davanti ai video suoi gatti.
C’è poi sempre qualcosa che si nasconde dietro a ogni immagine. Si vede nei dettagli delle riprese video che rivelano ‘nuove verità’ (la finestra dell’hotel) o anche nelle fotografie degli scontri a cui sono stati aggiunti i suoni degli scontri. Nella sua compattezza, Dossier 137 rivela anche un dolore profondo e ha una coinvolgente umanità che emerge alla distanza. L’interrogatorio e l’immagine video finale mostra che al cineasta interessa quello che provano i suoi personaggi e ha nei loro confronti un’empatia mai esibita ma discreta. Non ci sono vincitori, solo sconfitti. I ricordi felici sono solo quello che resta.