Dove non ho mai abitato. Incontro con Paolo Franchi e il cast

Incontro con il regista bergamasco: l’amore incompiuto, le lettere non scritte e il sentimentalismo che non c’è. Con Fabrizio Gifuni, Emmanuelle Devos, Isabella Briganti. In sala il 12/10

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“Si potrebbe dire che questo è un film in costume ambientato nel contemporaneo”. Siamo all’incontro stampa di Dove non ho mai abitato, alla Casa del Cinema, e il regista Paolo Franchi – accanto al protagonista del film, Fabrizio Gifuni e all’attrice Isabella Briganti – stabilisce il mood del suo quarto lungometraggio sin dalla prima risposta. Subito, qualcuno gli chiede il perché di quest’affermazione, aggiungendo che gli pare un film molto “sentimentale”; qualcun altro manifesta a voce alta di non essere d’accordo. Franchi continua a parlare e difendere la sua dichiarazione: “Più che altro perché ha un’ispirazione letteraria. C’è Chéjov, c’è Henry James, c’è anche un po’ di cinema americano degli anni 60 e cinema francese degli anni 80, ma i riferimenti sono soprattutto letterari”. Anche se lui non sembra per niente un sentimentaloide, questa categoria di “film sentimentale” che tutti continuano a menzionare non lo disturba affatto: “Mi piace molto l’idea, quello che il sentimento porta con sé, il fatto che trascina una serie di cose belle, strade che non sono seguite, roba che abbiamo perduto. Questo è un film romantico, dolcemente malinconico”.

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Dove non ho mai abitato – distribuito da Lucky Red, nelle sale italiane dal 12 ottobre – ci racconta dell’amore incompiuto tra due cinquantenni – Massimo (Fabrizio Gifuni) e Francesca (l’attrice francese Emmanuelle Devos) – una storia piena di primi piani, scontri, cose non dette e lettere non scritte. Alla conferenza stampa, però, sembra che capiti tutto il contrario: l’amore non c’è “nell’aria” e niente rimane senza essere detto; l’atmosfera è un po’ rivoltata, come se non fosse possibile trovare un punto d’incontro tra i presenti. Ma anche se le domande si svolgono in diverse direzioni – e il regista continua a dimenticare quello che chiedono – alla fine sempre si finisce per tornare al sentimentalismo, alla solitudine, al lato scuro dell’amore: “Perché ho messo l’architettura in un posto centrale? Allora, io non sono un appassionato di architettura, odio le case arredate … ma mi sembrava giusta la metafora per raccontare questa storia su qualcuno che costruisce qualcosa per gli altri, ma allo stesso tempo demolisce la sua propria vita”. Riguardo alla presenza dell’Eros, all’amore trattenuto e all’omissione della scena di sesso, Franchi risponde: “Mi sono ispirato al cinema classico, le scene di sesso non c’entravano niente perché non era la cosa più importante tra i protagonisti, non ho raccontato il sesso perché sarebbe stato veramente porno e io odio la pornografia!”

All’improvviso, emerge la figura di Fabrizio Gifuni, che si riferisce al suo personaggio: “Con Massimo ho voluto concentrarmi sul lavoro interno, sui movimenti introspettivi, così come la macchina da presa segue il viso dei personaggi e allude soltanto al loro interno. Questa che potrebbe sembrare una restrizione, almeno del punto di vista formale, alla fine si è rivelata una grande opportunità, una possibilità ricchissima.” Franchi lo osserva in silenzio, ma poi aggiunge con brutale onestà:Ho scelto Fabrizio perché ho pensato che fosse l’attore più europeo e adatto. Quello che mi spaventava di lui, però, era il suo aspetto di attore intellettuale, per me gli attori intellettuali sono i peggiori di tutti, non li sopporto … non ho detto niente di grave spero! Lui invece è abbastanza intelligente, non ha questa “sovrastruttura”, si è fatto in mille pezzi per riuscire a interpretare Massimo. Allora, lascio a voi pensare e scoprire quali potrebbero essere questi attori “intellettuali” di cui parlo …”

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