"Dovevamo scegliere tra mangiare e andare al cinema. E andavamo sempre al cinema" Incontro con Roman Polanski

"Italiano, inglese o francese?" Roman Polanski arriva sorridente, lancia una monetina per scegliere la lingua in cui parlare. Il regista, a Rimini per ritirare il Premio Fondazione Fellini, racconta i suoi inizi, le fonti di ispirazione, il rapporto con lo sceneggiatore Gérard Brech e con Federico Fellini

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"Italiano, inglese o francese?" Roman Polanski arriva sorridente, lancia una monetina per scegliere la lingua in cui parlare. Il regista, a Rimini per ritirare il Premio Fondazione Fellini,  racconta i suoi inizi, le fonti di ispirazione, il rapporto con lo sceneggiatore Gérard Brech e con Federico Fellini

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Ha incontrato Fellini sul set di Satyricon…


Sì, ma non è stato il nostro primo incontro. Quello è avvenuto a Hollywood, quando fummo entrambi nominati all'Oscar – lui per Otto e mezzo e io per Il coltello nell'acqua. Credetemi, per me la proiezione di Otto e mezzo fu una totale rivelazione. A movie for film makers. Sarebbe ipocrita dire che non avrei voluto vincere l'Oscar, ma quando ero là…capii che Otto e mezzo era migliore.


 


Le influenze dell'incontro con Fellini sul suo cinema?


Più che gli incontri, i suoi film…Forse una cosa comune è il senso 'visivo'. Penso ai disegni di Fellini, e devo dire che la parte visiva del mio cinema è sicuramente sovrastante – il colore, la prospettiva, la scelta dell'inquadratura…con la troupe, comunico molto meglio con i disegni che a parole.


 


Può dirci qualcosa del suo lavoro con Gérard Brech?


Abbiamo iniziato insieme, a Parigi. I francesi non sembravano affatto interessati al mio cinema. Brech lavorava per i produttori – era un factotum, e sperava così di riuscire a fare qualcosa nel cinema. Il primo lavoro con lui fu un episodio di Le plus belles escroqueries du monde, un film che ho diretto insieme a Chabrol, Godard, Gregoretti e Horikawa. Io avevo lasciato la Polonia dopo Il coltello nell'acqua; ci suggerirono di andare a Londra per lavorare. Il film era stato premiato a Venezia, ma questo non servì molto in Francia! (ride) Poi scrivemmo Repulsion, in tre settimane. Gérerd non aveva mai scritto per il cinema, e in questo senso credo che il nostro incontro funzionò molto per lui…Eravamo tutti e due senza un soldo. Vivevamo alla giornata e dovevamo scegliere tra mangiare e andare al cinema. E andavamo sempre al cinema.


Repulsion andò bene, così cercammo di vendere Cul-de-sac…Poi fu la volta di Per favore non mordermi sul collo: il periodo in cui frequentavamo le piccole sale intorno alla Sorbona, dove davano spesso horror inglesi. Più la scena era 'orribile' e più la gente rideva…Noi inclusi! (ride) Allora ci siamo detti: sarebbe eccezionale fare un film del genere intenzionalmente comico…


Questo è stato il nostro inizio. Credo che Per favore non mordermi sul collo sia stato il picco della creatività di Gerard, della sua espressività. Aveva un grande senso dell'umorismo, molto affine al mio. Poi io andai negli Stati Uniti, lui restò in Francia lavorando come sceneggiatore a tempo pieno.

Quanto sono importanti nel suo cinema le relazioni con le donne e con i luoghi?


Quando trovo un soggetto in cui una donna è il personaggio principale, sicuramente mi concentro su di lei, come in Rosemary's baby o in Repulsion. Riguardo le città, ho scoperto tardi la grande influenza che Cracovia ha avuto sul mio senso estetico. Era la capitale della Polonia, molte chiese gotiche e molta architettura italiana, rinascimentale puro…Negli anni del comunismo è diventata una città fatiscente, cadeva a pezzi. Il tutto aggravato da nebbia e inquinamento. Anche se non l'ho mai utilizzata come set, ha avuto una forte influenza su di me.


 


Fonti di ispirazione?


Sono stato educato con l'arte 'ufficiale'. Poi ho scoperto, casualmente, cose di cui non avrei mai immaginato l'esistenza. Una scoperta paragonabile a quella del sesso per un giovane…La letteratura di Gombrovicz. Al liceo artistico eravamo confinati all'arte comunista. Ogni tanto qualche insegnante, in segreto, ci faceva scoprire altro; ma le collezioni, l'impressionismo, il surrealismo…era tutto inaccessibile, sconosciuto al pubblico. Dopo il disgelo, dopo il XX Congresso, fummo letteralmente inondati dalle nuove forme d'arte…penso all'influenza del teatro dell'assurdo – Ionesco, Beckett – sui miei primi corti, come Two men and a wardrobe.


 


Corti che sono stati proiettati proprio qui…


(Si gira di scatto a guardare lo schermo) Quando li rivedo mi vorrei nascondere! (risate) Erano esercizi, non avrei mai immaginato che un giorno sarebbero stati proiettati…


All'epoca fui molto influenzato anche dal neorealismo italiano – si vede con Il coltello nell'acqua. Nei primi corti avevo più libertà di sperimentare, mentre per il primo lungometraggio non me la sentivo di seguire quella strada, sapevo che difficilmente sarebbe stata accettata. Poi, progressivamente, ho eliminato gli artifici, gli effetti facili, non necessari, tendendo a raccontare la storia così com'è.


 


E il teatro?


Io ho iniziato con il teatro, avevo quattordici anni. E' normale che per me sia fondamentale, e ho bisogno di tornare in teatro tra un film e l'altro. Di recente ho diretto una piece americana, 'Doubt'.


 


In Il pianista c'è molto di autobiografico?


Sì, molte cose sono esattamente come le ho vissute, come le ricordo. Io ero nel ghetto di Cracovia. Ad esempio, quando io e un altro ragazzino – avevo pregato mio padre di prenderlo con noi, i suoi erano stati deportati, come mia madre – siamo andati dal militare addetto alla sicurezza nella piazza in cui eravamo stati tutti riuniti…è la scena che si vede in Schindler's List. Gli dissi che avevamo fame: "Andiamo a prendere qualcosa da mangiare e torniamo". Ci guarda. Menzogna palese. E dice: "Andate". Prendo la mano di Stefan e iniziamo a correre. E lui: "Non correte. Camminate". La strada da attraversare. Da una parte la morte e dall'altra la vita. Nel film c'è la stessa battuta. Quelle parole sono rimaste in me, sempre.


 


Cosa pensa del negazionismo, dell'idea che l'olocausto sia una 'leggenda'?


Che posso dire? Solo che ricordo mio padre quando diceva: "Aspetta cinquant'anni e vedrai che ricomincerà tutto da capo". Mi viene in mente la frase di Mark Twain: a quindici anni pensavo che mio padre fosse l'uomo più stupido sulla terra. A venti ero sorpreso dei progressi che era riuscito a fare in cinque anni. Io pensavo che mio padre fosse pazzo, ma non lo era…

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