"Dream House", di Jim Sheridan


Il film di Sheridan, pesantemente manomesso dalla produzione, mutua atmosfere, estetica e colpi di scena da predecessori più o meno illustri. Il problema è ancora una volta quello di pensare al thriller paranormale come a una formula matematica replicabile all’infinito e applicabile ovunque e comunque. Dopo aver visionato la preview  Craig e Weisz si sono rifiutati di promuoverlo in giro in esplicita rottura con la produzione, e Sheridan ha disconosciuto la creatura e addirittura tentato (invano) di ritirare la propria firma

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Daniel Craig in Dream HouseSarebbe facile e in qualche modo consolatorio addebitare per intero la povertà della riuscita di Dream House all’invadenza del produttore James G. Robinson (Morgan Creek Productions), responsabile, come è noto, del pesante rimaneggiamento del finale del film, e sollevare così da ogni colpa il benemerito Jim Sheridan (In America, Nel nome del padre, Il mio piede sinistro), che a cose fatte ha disconosciuto la creatura e addirittura tentato (invano) di ritirare la propria firma. Il fatto però è che i guai di questo thriller dalle venature orrorifiche vanno oltre l’imbarazzante quarto d’ora finale e affondano le radici in un progetto-film (quello sì, pienamente attribuibile a Sheridan e allo sceneggiatore David Loucka) bolso e rimasticato, che mutua atmosfere, estetica e colpi di scena da predecessori più o meno illustri (Polanski, Shyamalan, mezzo quintale di j-horror, la recente serie tv Awake). Il problema è ancora una volta quello di pensare al thriller paranormale come a una formula matematica replicabile all’infinito e applicabile ovunque e comunque, basta variare e colorare giusto un poco l’ambientazione.

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E qui c’è la neve, tanta neve che sbatte alle finestre della casa dei sogni in cui si è da poco trasferita la famiglia di Will Atenton, e che quando si deposita sul terreno pare farlo apposta per coprire i segreti indicibili che dalla casa stessa possono trapelare. Nella prima parte – la migliore, per quanto di maniera – Sheridan, con l'aiuto in camera di Caleb Deschanel (The Hunted – La preda, Uomini veri, Oltre il giardino), fa brancolare nel bianco il povero Daniel Craig, padre di famiglia a caccia della verità al cospetto di una comunità omertosa in cui ne sanno tutti più di lui. La sceneggiatura di Loucka semina indizi e intorbida le acque, ma il suo gioco mostra presto la corda, sicché, giusto a metà, è costretta a capitolare e a spendersi anzitempo il coup de théâtre che rimescola le carte e ribalta il punto di vista. Ma quel che è più grave è che invece di (ri)partire il film a questo punto si siede sulle gambe, trascinandosi nella monotonia del proprio già visto e di quello altrui. Nella confusione, il mélo prende improvvisamente il sopravvento, asfaltando qualsiasi idea di caratterizzazione dei personaggi (quello della Watts, in particolare, è risibile).
Dream House arriva nelle nostre sale in pieno agosto, mimetizzato tra le uscite vacanziere, dopo che negli Usa è stato un sonoro flop. Dopo aver visionato la preview, persino Craig e Weisz si sono rifiutati di promuoverlo in giro in esplicita rottura con la produzione. Ma è davvero tutta colpa del "cattivo" James G. Robinson?

Titolo originale: id.
Regia: Jim Sheridan
Interpreti: Daniel Craig, Rachel Weisz, Naomi Watts, Elias Koteas, Taylor Geare, Claire Geare, Rachel G. Fox, Marton Csokas, Jane Alexander
Distribuzione: Universal Pictures International Italy
Durata: 92'
Origine: USA 2011

 

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