Dreams, di Dag Johan Haugerud
Capitolo finale del trittico sull’amore che riparte dalle illusioni dell’adolescenza per allargarsi ad uno sguardo generazionale e riflettere sul presente. Orso d’oro alla75° Berlinale

Dreams è il capitolo conclusivo di ua trilogia sull’amore iniziata con Sex e poi proseguita con Love. Una chiusa che equivale ad un principio. All’amore adolescenziale. All’amore disperato. Quello che ti ossessiona dalla mattina alla sera. Al bisogno di contemplare l’oggetto amato con venerazione, di sentirsi osservati e desiderati. Tu t’imbatti in cose che muoiono, io in cose appena nate. Così si esprime un pastore nell’opera shakespeariana Il racconto d’inverno. La delusione, la morte, la rinascita, come nel trittico klimtiano dal titolo Le tre età della donna, Dreams (Sex Love) porta sullo schermo tre riflessi, le tre donne di una famiglia di cui Johanne è l’ultima arrivata in ordine di tempo. È un’adolescente normale, forse un po’ riservata, che adora leggere. Una ragazza normale che riceve uno scossone quando nella sua classe arriva Johanna, una giovane insegnante di francese e norvegese. Poco tempo e la ragazza finisce follemente innamorata, e comincia a raccontare i suoi pensieri in un diario dove grazie all’immaginazione confonde la realtà con la fantasia.
L’uso della voce narrante sulla protagonista fornisce un’ottima rete protettiva alla storia, evita divagazioni, ma sviluppa uno schematismo a volte anche eccessivo. Però le parole hanno un posto di rilievo all’interno di Dreams (Sex Love), così volatili e simili alle nuvole passeggere, che poi sulla carta diventano altro, una prova, un indizio. Linguaggio eclettico, per dirla con Calvino, che ha un differente spessore, a volte come un pulviscolo, altre volte concreto sulle cose ed i corpi, come la figura di nonna Karin, una poetessa da barricate in piazza, da cui Johanne sembra aver ereditato il talento della scrittura, personaggio di notevole portata comica. Linguaggio che proietta su ognuno un’identità culturale e generazionale ben precisa, e risente delle mode dei tempi, per il presente, complesso e stratificato, rappresentato da mamma Kristin nell’attuale confusione culturale abituata a distruggere e fraintendere senza centrare il punto del discorso, a contrapporre ideali peggiori di quelli da combattere, ad avanzare sospetti e puntare il dito per poi emettere ridicole sentenza di condanna.
Poi c’è il lato estetico, ancora preciso e geometrico mezzo di rappresentazione, scale tortuose, sconnesse e dilaganti. Il primo amore resta una vetta da scalare, un’utopia, una camera sconosciuta piena di oggetti. Giunto alla fine del percorso Dag Johan Haugerud comunque giunge a conclusioni poco originali, ma questo essere poco innovative non le rende meno autentiche. Il senso dell’intera operazione è un aggiornamento al presente, che moltiplica le combinazioni e scombina i generi, annulla le preferenze negli impulsi, razionalizza le delusioni ed ignora i cuori infranti. Teoremi, piacere effimero, nostalgia ed uno schema che si ripete ancora ed ancora. Seppur con qualche eccesso di didascalismo, Dreams (Sex Love) sembra comunque un passo avanti rispetto al film precedente perché cavalca un’illusione un momento prima di distruggerla, ma si accorge che di quel delirio amoroso non può fare a meno.
Orso d’oro alle 75° Berlinale
Titolo originale: Drømmer
Regia: Dag Johan Haugerud
Interpreti: Ella Øverbye, Ane Dahl Torp, Selome Emnetu, Ingrid Giaever, Anne Marit Jacobsen, Valdemar Dørmænen Irgens, Silje Breivik, Andrine Sæther, Brynjar Åbel Bandlien
Distribuzione: Wanted Cinema
Durata: 110′
Origine: Norvegia, 2025