Driveways, di Andrew Ahn

La solitudine come apparenza della diversità, ancora una volta il cinema sa mostrarci l’invisibile. Se c’è un motivo per ricordare Driveways è per essere stato tra gli ultimi film di Brian Dennehy

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Se c’è un motivo per ricordare Driveways sicuramente è per essere stato tra gli ultimi film di Brian Dennehy, deceduto nel 2020, il massiccio attore americano già architetto per Greenaway, sceriffo in Rambo, Ted Montecchi per Luhrmann, tanto per citare tre film famosi.
A prescindere dall’ancora una volta ottimo Dennehy, il film del giovane regista americano Ahn, con ascendenze coreane, sa lavorare dentro un’ambiguità narrativa che resta sullo sfondo, ma presto, in quella sottile filigrana di una storia così semplice, diventa il tema dominante di questo film. Ahn ama la semplicità, la scena scarna e quasi vuota. È in questa messa in scena minimale che il film meglio mette a fuoco, con scandite sequenze, temi tutt’altro che secondari. La solitudine, le relazioni umane, la diffidenza e soprattutto la consapevolezza di una profonda diversità che diventa identità, carattere, modo di stare al mondo, coltivata nel silenzio e nella relazione cerebrale con pochi eletti.
Kathy e suo figlio Cody devono svuotare la casa di April, sorella di Kathy da poco deceduta. Vecchie ruggini tra le due sorelle le hanno allontanate. April viveva a Joplin nello Stato di New York, Kathy e Cody abitano nel vicino Michigan. Cody è un bambino solitario, ha otto anni e non ha molti amici, in fondo non gli pesa la lontananza da casa sua. Fa amicizia con Del un anziano signore solo, la figlia lontana che vive con la compagna e fa il magistrato. Tra Del e Cody si instaura un silenzioso e profondo rapporto, legato dalle due solitudini e l’età non sarà un ostacolo per rinsaldare questa relazione così spontanea tra due estremi della vita.

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Nei suoi lavori precedenti, i cortometraggi Andy e Dol e poi nel successivo suo esordio nel lungometraggio con Spa night, Ahn ha resa esplicita la sua omosessualità e anzi si servì proprio di Dol (First birthday) per fare coming out con i suoi genitori. La premessa è necessaria per entrare nel sottofondo di Driveways che, al di là della bella narrazione di una provincia sonnolenta e noiosa e di relazioni umane necessarie come il pane che rompano la diffidenza reciproca e salvino dai fantasmi di una lesiva autoemarginazione, è soprattutto un film sulla diversità. Ahn sa bene di cosa si parla e pertanto sa di dovere, non tanto prendere alla larga il tema, quanto, piuttosto, costruire un assunto che ne sia il fantasma, l’apparenza, ma che allo stesso modo illumini la stessa scena. Costruisce a questo scopo il magnifico personaggio infantile di Cody, così diverso dai suoi coetanei, così attento alle dinamiche delle relazioni, così istintivo nell’instaurare rapporti. Ahn non ha bisogno di mettere in scena la diversità facendola apparire come pregevole. Ha invece necessità che questa considerazione nasca dal giudizio dello spettatore per qualcosa che gli assomiglia e che identifichi con sicurezza il carattere del personaggio. La solitudine di Cody non è esistenziale, ma è la sua intima natura, tanto da diventare la chiave per raccontare in modo differente, ma ugualmente sensibile, la diversità omosessuale. Ahn conferisce spessore al suo piccolo personaggio il cui carattere è ben definito, ne vediamo i moti dell’anima, i piccoli desideri e le sue infantili aspirazioni. Cody è un messaggero di altri sentimenti, è un portatore di valori segreti, di valori che orgogliosamente gli appartengono, possa ciò costare anche la solitudine.

Diversità dunque come forma di connaturata solitudine esistenziale aperta alla relazione, alla ricerca di una gemellarità quasi invisibile, luccichio di un’anima che non sa essere a proprio agio con tutti. L’anziano Del risponde a queste caratteristiche, perché l’anziano Del, reduce dalla guerra di Corea, ne ha viste di tutti i colori e li sa distinguere, perché l’anziano Del sa cosa sia la diversità grazie alla figlia e, infine perché Del sa anche cosa sia l’amore avendo amato sua moglie fino alla fine, anche se rimpiange ciò che non le ha saputo dare e in sostanza rimpiange di averla lasciata sola troppe volte.
È dentro questo sfondo, dove c’è quella provincia così minima e isolata a fare da scenario alla sua educazione sentimentale, che Cody impara a istituire legami indimenticabili, ma anche a soffrire quando quei legami si allenteranno dentro i necessari percorsi della vita.
È questa l’operazione più interessante di questo piccolo film, che sa essere prezioso proprio perché sembra sussurrare più che raccontare e perché, del resto, ci parla di cose per nulla trascurabili. La sua segreta virtù è quella di fare entrare, con una quasi impercettibile e morbida sua capacità, il tema più ampio e coinvolgente delle relazioni umane filtrate da una consapevole diversità che si esprime in una solitudine che non è solo di Cody, ma tutti i personaggi del film. Ahn sa restituire allo spettatore il senso di questa naturale differenza che segna Cody, quasi lo shining che lo caratterizza, un lavoro di scrittura efficace al quale concorre con splendida prova il giovanissimo Lucas Jaye. Un lavoro che fa emergere quella verità sepolta tra i silenzi e che lentamente si appropria del film colorando di sé il senso finale della storia. Driveways è dunque anche un film sulle identità diverse, a cominciare da quella della defunta April, i cui tratti appena abbozzati dai racconti dei pochi vicini che la conoscevano, ci dicono che viveva in solitudine ed era una brava persona.

Il racconto si fa frammentato e sembra ormai impossibile cogliere l’interezza di quella verità. L’isolamento ha prodotto l’impossibilità di ricomporre le vite facendo svanire la nettezza dei ricordi, addirittura spesso, rilevandone l’assenza in quella polverizzazione dei sentimenti che si affidano al non detto più che alla parola. Cody diventa messaggero e catalizzatore di un possibile riscatto e sarà Del ad affidargli i suoi ricordi. Il suo lungo monologo finale ci offre a pieno il senso di questa assenza, vuota anche di ricordi, vacuità impossibile da colmare se non attraverso una consegna che perpetui la memoria.
È per questo che Driveways è un film anche sulla memoria, sull’affastellarsi dei reperti che le danno forma e sulla necessità di un ordine salvifico per la sua prosecuzione nel tempo. Kathy nella casa della sorella è sopraffatta dagli oggetti apparentemente inutili, ma che raccontano di April, e scoprirà quanto sia stata sconosciuta quella sorella così vicina. Un film che ripercorre le tracce della memoria involontaria di proustiana fattura, allargando l’orizzonte dello sguardo ancora una volta attraverso un cinema che sa mostrarci l’invisibile.

Titolo originale: id.
Regia: Andrew Ahn
Interpreti: Hong Chau, Lucas Jaye, Brian Dennehy, Christine Ebersole

Durata: 83’

Origine: USA, 2019

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.7

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
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