"Due fratelli", di Jean-Jacques Annaud

Il pensare di Annaud in cosa consiste? È una domanda da girare agli animali… quando i non umani sono protagonisti al cinema, difficilmente si sfugge dall'antropomorfismo di maniera pur se mascherato dal puro gusto di divertire e "alleggerire" il divario tra generi e specie. Eccessi disneyani che si ria(ni)mano…

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Il pensare di Annaud in cosa consiste? È una domanda da girare agli animali… quando i "non umani" sono protagonisti al cinema, raramente si sfugge dall'antropomorfismo di maniera pur se mascherato dal puro gusto di divertire e "alleggerire" il divario tra generi e specie. Annaud si muove tra cinema d'avventura e cartoon, lontano da approcci puramente scientifici e documentaristici di Microcosmos e Il popolo migratore. La trama: durante il periodo coloniale di fine ottocento, nell'Indocina francese, i protagonisti sono un bracconiere e tombarolo inglese e due cuccioli di tigre separati in tenera età. Gli eventi faranno ritrovare i due felini adulti in un combattimento all'ultimo sangue per allietare la platea in passatempi cruenti. Richiamo del sangue e conversioni esistenziali sono le giuste contromisure. Da L'orso, scarno d'espressività attorale, in cui il controcampo era un imprescindibile strumento descrittivo e connotativo, ai primi piani insistiti sui tigrotti, in un ventaglio impressionante di emozioni. La mente silenziosa inganna e il pensiero umano attribuisce delle intenzioni e dei sentimenti che concepiamo simili alle nostre. Il principio fondamentale, quello della generalità, s'inceppa. La sensibilizzazione non passa solo da chi mi è vicino. Lo sguardo antropocentrico è il punto di riferimento morale anche per le altre specie viventi: le tigri sono simili a noi, o viceversa. Il cinema continua a perpetuare (tranne che in rarissimi casi) l'infondata quanto fuorviante pretesa di somiglianze di fondo anziché mostrare diversità radicali. Credere o far credere che gli animali non umani abbiano pensieri in qualche modo simili ai nostri significa mettere a rischio la loro diversità. Significa, continuare a credere che l'essere umano rappresenti il vertice del mondo naturale. Le tigri non appartengono al cinema, al domatore o ai nostri presuntuosi e ingenui assunti animalisti, appartengono a loro stessi. Conoscere l'uomo passando per gli istinti più "bestiali" vuol dire forse rispettare le differenze e incrociare corpi chimici, corpi umani e corpi di sapere per un reciproco arricchimento. "Che cosa significa essere scimpanzé al 98%" non è una provocazione ma un dato geneticamente conclamato che lascia uno spiraglio apparentemente irrisorio e pur paradossalmente inaspettato: la comune discendenza di uomini e margherite e… moscerini. Ma il regista aspetta che il suo animale pianga o rida a comando, corra, lotti e giochi in libertà vigilata: ben fatto! Scimmiotta il romanzo salgariano con propositi morali nobilmente elitari, settari e contradditori. Gli eccessi "disneyani", sull'immaginario collettivo di intere generazioni, si ria(ni)mano celandosi ruffianamente in una ben più predefinita visione del mondo (in)voluto.  

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Regia: Jean-Jacques Annaud


Interpreti: Guy Pearce, Jean-Claude Dreyfus, Mathilde Normandin, Freddie Highmore, Moussa Maaskri, Vincent Scarito


Distribuzione: Medusa


Durata: 109'


Origine: Francia/Gran Bretagna, 2004


 


                  

 

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