Due giorni, una notte. Incontro con Jean-Pierre e Luc Dardenne

dardenne
I due cineasti sono a Roma per accompagnare Due giorni, una notte, presentato in concorso al Festival di Cannes 2014. "Raccontiamo un'esperienza di liberazione, che passa attraverso un processo di trasformazione e presa di coscienza che speriamo possa investire anche chi guarda il film. Il nostro è volontariamente un elogio della vulnerabilità, un inno alla fragilità"

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La statura morale di Jean-Pierre e Luc Dardenne travalica il respiro etico dei loro film: averli di fronte sprigiona nelle loro figure la stessa dimensione di consapevole, straordinaria fermezza che ritrovi in ognuna delle loro immagini. La presa di posizione: davanti all'annuncio dei 25 minuti di tempo per questa conversazione, Jean-Pierre sorride e inizia a contare scherzando i secondi, in italiano: "uno…due…tre…". La riflessione di questo cinema dolorosamente necessario sull'esistenza la ritrovi anche in un momento come questo, tra le pieghe.

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Nel vostro cinema iniziano a fare capolino strutture più serrate, quasi convenzionali, "di genere", pensiamo all'utilizzo della musica e di star come Cécile de France e in questo caso Marion Cotillard…

Luc Dardenne: a noi sembra di continuare a fare sempre la stessa cosa. Volevamo Marion nella famiglia per metterla alla prova con questo personaggio che è sempre alla luce del sole. In questo film è importante che la protagonista non nasconda i segni che la depressione ha lasciato sul suo corpo, ma mostri anche fisicamente le sue fragilità in queste riprese in esterni, estive, in modo da non avere scuse per coprirsi sotto gli abiti: la sua odissea è strutturata in quelle che sono appunto anche una serie di tappe sui secondi lavori "nascosti" dei suoi colleghi.

Jean-Pierre Dardenne: la mancanza di solidarietà è uno dei temi che volevamo affrontare nel film, e questa struttura lo fa venire pienamente a galla. Avevamo sentito la storia di un'operaia della Peugeot fatta licenziare dai colleghi perché con le sue assenze e i suoi ritardi aveva fatto sfumare il premio di produzione a tutto il suo settore. E' chiaro che è sempre più facile essere solidali quando non hai il problema di come arrivare a fine mese, quando non sei preda di questa paura sociale. Ma l'impalcatura del nostro film porta la protagonista a riguadagnare attraverso le varie stazioni quella fiducia che aveva perso. Crediamo sia un elemento fondamentale nella quotidianità di oggi, noi viviamo una vita comune, fuori dal "Pianeta Cinema", che tra l'altro in Belgio non esiste…(guarda la sfarzosissima stanza intarsiata e dipinta in cui siamo, a Palazzo Torlonia, e ride di nuovo – un'altra vertigine): comune come questa camera a Roma!

Ma è anche una progressione drammatica che non lascia possibilità di scampo, sembra non esserci una via di fuga possibile tra le due che sono delineate a questa donna sin dall'inizio

Luc Dardenne: la terza via è lasciata allo spettatore. Questo film racconta un'esperienza di liberazione, che passa attraverso un processo di trasformazione e presa di coscienza che speriamo possa investire anche chi lo guarda. Due giorni, una notte è volontariamente un elogio della vulnerabilità, un inno alla fragilità. Speriamo che ciò venga compreso.

Jean-Pierre Dardenne: il cinema contemporaneo è attraversato da una fibrillazione dell'isteria che lo rende vicino alla pornografia. Al contrario, è importante mantenere la giusta distanza: se ti avvicini troppo alle cose, non distingui più nulla in quello che vedi. Abbiamo provato cinque settimane prima di girare il film, per poi capire ad esempio che nella scena in cui Marion si nasconde dalla macchina da presa e scoppia a piangere di spalle, era giusto che il nostro obiettivo si tenesse a distanza, facendo avvicinare il suo uomo senza che lui la facesse voltare del tutto. 

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