DVD – Paragrafo zero – cinema e prostituzione vol.1

Paragrafo zero- Cinema e prostituzione vol.1Dalla Raro Video uno sguardo inedito sul mondo della prostituzione, con un cofanetto che offre allo spettatore due testimonianze opposte e complementari, essenziali alla comprensione approfondita di un fenomeno tanto vasto ed articolato. Primo “capitolo” della collana Illegal&Wanted.
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Disco 1 – The good woman of Bangkok

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#SENTIERISELVAGGI21ST N.17: Cover Story THE BEAR

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THE OTHER SIDE OF GENIUS. IL CINEMA DI ORSON WELLES – LA MONOGRAFIA

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Paragrafo zero- Cinema e prostituzione vol.1

Titolo originale: The good woman of Bangkok
Anno: Australia/Gran Bretagna, 1991
Genere: documentario
Durata: 81’
Distribuzione: RaroVideo
Cast: YagwalakChonchanakun
Regia: Dennis O’Rourke
Formato DVD/video: letterbox4/3 1.33:1
Audio: inglese, tailandese dual mono
Sottotitoli: Italiano
Extra: intervista a Porpora Marcasciano, vicepresidente del MIT (Movimento Identità Transessuale); booklet in italiano e inglese
 
 

 

 

IL FILM

 Nato come indagine sulla natura dell’amore in seguito al naufragio del matrimonio di O’Rourke, il film documenta il viaggio del regista nei meandri della prostituzione di Bangkok, grazie all’incontro, ed alla relazione, con la prostituta Aoi. Il particolare rapporto che si instaura tra i due fa sì che l’opera perda totalmente il distacco tipico del documentario, riuscendo a dipingere con vivida rassegnazione le brutture della vita della donna.
Nata in una famiglia povera e piena di debiti, a causa del padre alcolista, Aoi viene abbandonata dal marito poco dopo essere rimasta incinta e, a meno di un anno dalla nascita del bambino, è costretta a prostituirsi per mantenere la famiglia dopo la morte del padre. Appena venticinquenne, già non crede più nell’amore, dominata dal disprezzo per se stessa e per gli uomini che è costretta ad incontrare. the good woman of bangkok
Come L’anima buona di Sezuan, la pièce di Brecht su cui è modellato, il film fa suo il teorema dell’impossibilità di condurre un’esistenza retta in un mondo dilaniato dalla corruzione; definito dallo stesso autore documentario “di finzione”, ribalta inoltre il punto di vista dello spettatore, giocando non sull’orrore del pubblico, quanto su quello delle donne tailandesi, costrette a subire quotidiane angherie.
É un’opera cruda, spietata, tanto nella documentazione della totale assenza di speranza di Aoi, che della bieca mentalità dei suoi clienti, concentrati esclusivamente sul raggiungimento delle proprie fantasie. Momenti di estrema intimità della ragazza si alternano a visite al villaggio natale ed incursioni nei night di Bangkok, dove O’Rourke si addentra nelle dinamiche della mercificazione del sesso, il cui aspetto più disgustoso è forse la consapevolezza dei turisti occidentali del commercio che alimentano, e che, paradossalmente, porta addirittura alcuni di loro a giustificare la propria presenza come unico mezzo per il sustentamento delle ragazze.
In questa dimensione dominata dallo squallore più devastante, a colpire non è tanto la realtà, ormai tristemente nota, che documenta, quanto l’abilità dell’autore di scavare nei pensieri di Aoi fino all’epilogo tristissimo, la rinuncia al riscatto: estrema testimonianza della rassegnazione della donna al proprio destino.
 
IL DVD
 
the good woman of bangkokLa qualità del dvd risente purtroppo del formato originale, con un audio che manca di nitidezza ed una qualità video appena sufficiente. Molto interessante, però,  l’intervista alla Marcasciano, che analizza la prostituzione tanto in un’ottica “poetica” quanto funzionale, in riferimento alle attività di volontariato della sua associazione. La prostituzione è la libera scelta di donne, trans, omosessuali, a volte anche uomini, che decidono di vendere le loro prestazioni: inutile dunque, gridare allo sfruttamento generalizzato. Molto spesso, infatti, le straniere che arrivano nel nostro paese sanno a cosa vanno incontro, sottovalutando forse la proporzione dello sfruttamento; una maggior informazione al riguardo sarebbe dunque utile sia ai politici che alla gente comune per comprendere la realtà di questo fenomeno. Il problema, semmai, è che nel nostro paese non ci sono diritti per chi esercita questo mestiere: pur non avendo alcuna tutela o assistenza, le prostitute sono però obbligate ad assolvere i propri doveri, pagando le tasse alla stregua di ogni cittadino. L’etica moralista gioca senza dubbio un ruolo importante nella questione, impedendo di affrontarla liberamente, contrariamente a quanto accade invece in altri stati dichiaratamente laici. La prostituzione è inoltre da sempre fonte di ispirazione per cinema e letteratura, basti pensare ai film di Fellini o al neorealismo, autori della diffusione di un immaginario particolare: ora, però, non ci sono più le professioniste di un tempo, venditrici di sogni con una propria storia ed un nome. Domina invece l’immigrazione clandestina, con prostitute sempre meno consapevoli dei rischi che corrono, prive di autonomia e che non sono più riconoscibili dal nome, ma dalla nazionalità: strappando il passaporto, hanno eliminato le tracce della loro storia per ricominciare ad esistere in questa realtà. Importante per loro è l’aiuto degli operatori sociali, le cui attività consistono principalmente nel distribuire preservativi e materiale informativo sulla prevenzione, fornire sostegno psicologico ed informazioni utili su come poter uscire dal giro o trovare assistenza sanitaria, tutte notizie altrimenti inarrivabili. Altro tema sensibile toccato dalla Marcasciano è infine quello delle case chiuse e dei quartieri “a luci rosse”: se infatti un tempo le professioniste fornivano discrezione ai loro clienti operando in luoghi specifici, veri e propri microcosmi che fungevano da ammortizzatori sociali dove, paradossalmente, il tasso di criminalità era meno elevato, oggi le case chiuse limiterebbero di molto il raggio d’azione degli operatori sociali, in quanto, assieme al fenomeno della prostituzione, sparirebbero anche le tracce delle donne implicate e, con queste, la possibilità di aiutarle.

Disco 2 – Working Girls

Paragrafo zero - cinema e prostituzione

Titolo originale: Working girls
Anno: USA, 1986
Genere: drammatico
Durata: 90’
Distribuzione: RaroVideo
Cast: Louise Smith, Ellen McElduff, Amanda Goodwin, Marusia Zach, Janne Peters, Helen Nicholas
Regia: Lizzie Borden
Formato DVD/video: widescreen anamorfico 1.66:1
Audio: inglese dual mono
Sottotitoli: italiano
Extra: commento audio al film, intervista a Lizzie Borden, trailer originale; booklet in italiano e inglese

 

 

 

IL FILM

Premio speciale della giuria al Sundance dell’87 e menzione speciale come miglior attrice per Louise Smith agli Indipendent Spirit Awards dell’88, Working Girls descrive per filo e per segno la giornata tipo di una prostituta middle class della New York anni ‘80, le cui ore trascorrono tediose tra le visite di clienti strampalati e gli sfoghi con le colleghe. Molly è una fotografa lesbica che si guadagna da vivere facendo la prostituta: dopo aver lasciato a casa la figlia adottiva e l’ignara compagna, si reca ogni giorno nell’appartamento di manhattan dove, insieme alle colleghe, soddisfa le fantasie di clienti in apparenza anonimi, ma dotati di una stupefacente inventiva. Tra “dottori” che restituiscono la vista a vergini innocenti e fantasie di dominazione corredate da sculacciate a suon di racchette da ping pong, le ragazze sono costrette a vedersela con una maitresse che ha ambizioni, e pretese,  di una qualsiasi donna in carriera, barcamenandosi tra i loro sogni e la dura realtà che sono costrette a fronteggiare quotidianamente. Giratoworking girls con precisione documentaristica e caratterizzato da un’attenzione al dettaglio quasi maniacale, il film è tutto un susseguirsi di rituali codificati che non lasciano spazio al voyeurismo che un’opera del genere lascerebbe supporre. Spogliato di qualsiasi appeal erotico, il sesso non rappresenta niente più di una merce di scambio, una risorsa cui le protagoniste attingono portando avanti il loro lavoro con ritmi da catena di montaggio.  Ottima la regia della Borden, che sfodera una naturalezza tale da far dimenticare di assistere ad un lavoro di fiction, i cui tempi estremamente realistici fanno pesare sullo spettatore tutta la ripetitività e la noia di una giornata di lavoro in piena regola. Girato in un ambiente estremamente ristretto (il loft della regista adattato a casa d’appuntamenti) fa di necessità virtù, ritraendo il tutto con movimenti di macchina essenziali, riducibili a poche carrellate, che ben si sposano con la verosimile spontaneità delle attrici. Intimo, consapevole e disincantato, introduce lo spettatore ad una versione inedita della prostituzione, infondendola di una rivendicazione quasi femminista in quest’uso tout court che le protagoniste fanno del proprio corpo. Lontane dai pericoli della strada, sembrano infatti viverla, seppur con rammarico, come scelta consapevole, mezzo di cui avvalersi per poter giungere ognuna al proprio, personalissimo, fine.

 
Il DVD
 
working girlsChiude il cofanetto un DVD di buon livello, con un audio nitido (tutto il film è in lingua originale con sottotitoli in italiano) ed una qualità dell’immagine soddisfacente, con colori pieni e ben contrastati.
Assolutamente degni di nota gli extra, ricchissimi: dopo il commento al film (rigorosamente in inglese con sottotitoli) di regista, direttore della fotografia e dell'attrice Amanda Goodwin, seguono una lunga ed esaustiva intervista alla Borden, trailer originale e credits.
Dai primi due contributi emergono interessanti considerazioni tanto sulla genesi quanto sulla lavorazione del film: nel primo, in particolare, i commenti vertono su informazioni tecniche molto dettagliate, cui si vanno ad aggiungere considerazioni artistiche e morali delle tre donne.
Nell’intervista, invece, la Borden svela molti retroscena del film, a partire dalla “derivazione” dal precedente Born in Flames, poiché, durante le riprese, aveva scoperto che una delle attrici lavorava come prostituta. Iniziò perciò ad interessarsi a quel mondo per lei sconosciuto, e, frequentando il bordello in cui lavorava, scoprì una realtà sotterranea in cui si muovevano donne che svolgevano attività parallele, prevalentemente artistiche, sotto la guida di una maitresse che somigliava ad una vera e propria mecenate. Si trattava di prositute di ceto medio, diverse dalle squillo d’alto bordo o dalle donne di strada dell’immaginario comune: decise così di documentare quel mondo, costruendo nel suo loft l’esatta copia del bordello, per narrare il sesso da un punto di vista femminile ed anticonvenzionale. Si tratta, in effetti, di un film sul lavoro più che sulla sessualità: ciò che davvero la interessava era mostrare come non ci fosse sostanziale differenza tra lavorare nel senso classico del termine e fare sesso dietro compenso, perché in entrambi i casi si tratta di affittare corpo e tempo a degli sconosciuti. Lo paragona anzi al mestiere dell’attrice che, passando il proprio tempo libero con un produttore, fa praticamente lo stesso, anche se il suo è un comportamento socialmente accettato. A quest’ottica rischiosa e controcorrente si aggiunge una trattazione delicatissima del tema del lavoro: di quanto questo limiti enormemente la libertà personale e l’espressione della propria creatività, assoggettati alle pretese di un datore di lavoro che crede di disporre intermente dei propri impiegati e del loro tempo. La maggior parte delle occupazioni, inoltre, non sono affatto gratificanti, mentre la scelta della prostituzione permette di avere orari flessibili e, se praticata da artiste, di trarne un’esperienza stimolante per il proprio lavoro creativo. Si tratta di donne che hanno maturato la consapevolezza di possedere qualcosa “in più” degli uomini, e scelgono così di attingere consapevolmente alla risorsa del proprio corpo, affittandolo più che vendendolo. La produzione del film riscontrò comunque diversi problemi, poiché venne bollato come porno dall’Actors Guild; era in realtà molto affine al resto del cinema sperimentale di N.Y. di quegli anni, il cui scopo fondamentale era raccontare storie in maniera diversa da come si faceva ad Hollywood. In un tempo in cui promiscuità ed eccessi andavano a braccetto con l’arte, il suo era un film dalla forte critica sociale: si opponeva allo sfruttamento lavorativo, gettando uno sguardo inedito su pornografia e prostituzione vissuti come scelta, alla stregua di un qualsiasi altro lavoro. Fonte di ispirazione per questa concezione del cinema come proposta, come mezzo per accedere ad altri punti di vista, fu per l’autrice il cinema di Godard, poiché ogni suo film è in un certo senso interpretabile come un saggio. Non si tratta tuttavia di un documentario: riprese, location, attrezzature, tutto è calcolato alla perfezione, la verosimiglianza che lo caratterizza, semmai, deriva tutta dal contatto ravvicinato con il mondo che ha scelto di rappresentare.
 
 

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