È a questo punto che nasce il bisogno di fare storia, di Constanze Ruhm
Cosa significa fare storia? Se lo chiede Constanze Ruhm, esperta di visual media design, in un doc presentato all’Efebo d’Oro che parte dagli ultimi lavori di Carla Lonzi e dai movimenti femministi
Cosa significa fare storia? Narrare attraverso documenti, materiali d’archivio, ricerche su personaggi realmente esistiti? Carla Lonzi attivista femminista è stata con Carla Accardi ed Elvira Banotti tra le fondatrici nel 1970 del gruppo Rivolta Femminile ed ha portato avanti una lotta eversiva e controcorrente per ridare dignità e ruolo alle donne. Constanze Ruhm regista austriaca esperta di visual media design incentra il suo documentario sull’ultima parte degli studi di Carla Lonzi (il libro Armande sono io), riguardanti un gruppo di protofemministe del XVII secolo, denominate “Le Preziose”. Ma come in una reazione a catena le voci si moltiplicano, i livelli temporali si intersecano, dissolvenze e sovrapposizioni si alternano e la voce narrante sembra spezzarsi in tanti piccoli micro-racconti seguendo un processo di frammentazione identitario rappresentato simbolicamente da uno specchio rotto. L’inserimento di materiale di pura fantasia (la voce di Radio Dafne che racconta le storie delle donne) si ramifica nell’apparizione di altre importanti figure come Susane Santoro, Maria Grazia Chinese e Artemisia Gentileschi. La musica minimalista e il flusso di coscienza di immagini rimandano ad altre visioni e ad altri tempi.
Il cinema di Constanze Ruhm si avvicina di più al video saggio con materiale composito proveniente da molteplici fonti: la fotografia, la pittura, la scultura, la musica. Un album di famiglia si trasforma in opera d’arte contemporanea che testimonia una serie di femminicidi: ai trafiletti dei quotidiani d’epoca si alternano scatti in bianco e nero. I titoli sono necrologi, la violenza sembra attraversare il tempo e colpire con la medesima crudeltà, oggi come ieri. Queste donne sedute in giardino in un quadro metafisico sembrano manifestare una forma di resistenza contro una società che le vuole ingabbiare e normalizzare.
La voce narrante di Constanze è la guida di questo viaggio nel tempo che si allarga e si restringe come una pupilla al variare della luce. Vorremmo sapere di più su Carla Lonzi, sulle sue opere (Sputiamo su Hegel, La donna clitoridea, la donna vaginale ed altri scritti), sui rapporti con gli intellettuali del tempo (la lettera a Pasolini), vorremmo conoscere questo importante percorso di autocoscienza femminile che è stata la pietra miliare dei movimenti femministi. Ma il bisogno di fare storia si trasforma in una urgenza esplosiva che lavora sulla demolizione della inquadratura. L’immagine scoppia in schegge di vetro che è difficile ricomporre, ognuna rimanda a un altro volto, il testimone passa di mano in mano senza fermarsi. Artemisia è Carla è Maria è Grazia è Susane è Constanze. Tutte queste donne diventano una. Ritorna ancora il tema dell’identità spezzata in un teatro siciliano o tra le rivolte dei movimenti femministi degli anni 70. Ci si perde di fotogramma in fotogramma in una circolare ridondanza come se si fosse sulla soglia dell’irrappresentabile. Presentato alla 46ª edizione dell’Efebo d’Oro a Palermo, È a questo punto che nasce il bisogno di fare storia è un anti documentario che utilizza la grammatica della video arte per suggerire la dissoluzione della identità femminile. Il loop che si viene a generare assorbe nel suo vortice visivo tutto il materiale di archivio filtrandolo trasversalmente tra il 1600, gli anni ’70 e la contemporaneità. Si aggrovigliano i fili delle storie e non si può che farsi abbagliare da un riflesso di specchio. “Armande sono io” non appartiene più a Carla Lonzi ma è un viaggio dentro l’inconscio collettivo femminile, con la macchina da presa di Constanze Ruhm a fare da navigatore satellitare.