È stato tutto bello – Storia di Paolino e Pablito, di Walter Veltroni

In sala da oggi al 21 settembre, il doc diretto da Walter Veltroni sul trascinatore dei mondiali dell’82 è un fulgido esempio di camp nostrano, dove nulla è problematico e tutto è pietistico.

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È di recente uscita un libro dall’eloquente titolo: Se aveste fede come un calciatore. L’autore, don Marco D’Agostino, ricerca in personaggi ed eventi calcistici delle chiavi religiose. Un perno fondamentale per il processo di beatificazione del calcio e del calciatore non può che essere la sua icona per eccellenza, la figurina. Questa è il punto di congiunzione con il nuovo documentario di Walter Veltroni, È stato tutto bello – Storia di Paolino e Pablito, incentrato su Paolo Rossi. È la figurina l’immagine centrale del documentario, quella che pur non essendo preponderante rende chiaro come nel documentario questo processo possa bucarsi e svuotarsi della sua dimensione morale per diventare edificazione e sfruttamento di uno star system.

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D’altronde, lo sguardo scelto da Veltroni per raccontare la storia di Paolo Rossi è il trionfo del camp, che, citando Emiliano Morreale e Susan Sontag, “si nutre non semplicemente del brutto, ma dell’eccesso di pretese che comunque scatena «uno sfoggio di fantasia più eccessivo e irresponsabile»”. Così, le interviste al fratello del calciatore Rossano Rossi nelle quali racconta l’infanzia con suo fratello minore tracimano in ricostruzioni girate in bianco e nero, tanto pretenziose quanto didascaliche. Si parla della scuola e si vedono due bambini in un cortile durante la ricreazione. Si parla della nascente passione calcistica, dei campi improvvisati tra gli ulivi e si vedono due ragazzi che smarcano tronchi secolari. Si parla delle corse in bicicletta tra fratelli e puntualmente i due sfrecciano vicino all’intervistato, costretto a salutare con un “ciao Paolino!”.

 

Fortunatamente, uscito dal periodo dell’infanzia, le ricostruzioni vengono abbandonate. Il loro naturale sostituto, nell’ebbrezza nostalgica di È stato tutto bello, non può che essere il frammento mediale d’archivio, dagli ovvi spezzoni di partita alle lettere che l’attaccante scriveva al suo riferimento spirituale don Ajmo. Eppure, non c’è mai il tentativo di esplorare gli interstizi, i vuoti tra i frammenti. Tutto rimane sulla superficie del supporto e delle parole degli intervistati, condotti verso una sterile sfilata di aneddoti, che non ragiona mai dello status iconico dell’attaccante ma si limita a trarne vantaggio.

Il passato viene così semplificato, ripulito e mostrato con uno sguardo obliquo che rifugge tutto ciò che possa risultare problematico, sia sul piano personale che su quello collettivo. Il contesto sfuma fino a una volatilità perfetta per nascondere qualsiasi asperità. Dei due anni di squalifica per partite truccate rimane qualche commento incredulo degli ex-compagni di squadra e il racconto della sofferenza data dalla lontananza dai campi. Gli anni di piombo non vengono nemmeno nominati, Pertini ridotto praticamente a buffone di corte; c’è, però, la facile condanna ai mondiali di calcio nell’Argentina dei colonnelli per far capire che ci si trova dalla parte giusta della storia. Non è lo stesso pensiero che percorre la mente dello spettatore durante l’ultima parte di È stato tutto bello, nella quale viene raccontata la malattia che ha ucciso Paolo Rossi a 64 anni. È dalla parte giusta della storia colui che intervista delle figlie che, prima di essere adolescenti, hanno già perso il loro padre con l’unico fine di ricercarne le lacrime?

Regia: Walter Veltroni
Distribuzione: Vision Distribution
Durata: 107′
Origine: Italia, 2022

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
1.5
Sending
Il voto dei lettori
2.63 (8 voti)
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