"E' una tipologia di famiglia che esiste, senza dare pregiudizi su questo tipo di persone che affrontano la vita a loro modo." Incontro con Stefano Mordini.

"Provincia Meccanica" è l'unico film italiano in concorso al Festival del cinema di Berlino. Racconta di una famiglia semplice e felice che perde il suo equilibrio per l'intervento degli altri: familiari, istituzioni, regole prestabilite. Ce ne parla il regista insieme ai protagonisti Stefano Accorsi, Valentina Cervi e Ivan Franek.

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Nel raccontare la storia interessava solo rappresentare il disagio di una famiglia o altro? E quanto c'è di biografico nel susseguirsi delle vicende?

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Stefano Mordini: La storia nello specifico non è una storia vera, ma rappresenta solo stralci di storie vissute. Io ho sempre realizzato documentari dove si impone l'osservazione della realtà. Ho scritto il film facendo proprio questo: sono rimasto a guardare le situazioni e le persone delle quali volevo parlare. La mia intenzione era quella di descrivere la realtà dei due protagonisti guardandoli da dentro e non da fuori, stando vicino a loro, sul loro respiro, nelle loro dinamiche. E' una tipologia di famiglia che esiste, senza dare pregiudizi su questo tipo di persone che affrontano la vita a loro modo. Sono gli interventi dall'esterno a mostrare i loro punti deboli, agendo sulla loro vita, sulla profondità del loro amore, separandoli.


 


Le regole dell'esterno schiacciano i personaggi però si parla poco nel film del potere delle istituzioni: è stata una scelta?


 


Stefano Mordini: Non era mio interesse approfondire il tema delle istituzioni. Io volevo stare sui personaggi e sulle loro creazioni rispetto a ciò che succede nella loro vita. E' vero che parlo di una provincia operaia, ma è una realtà sociale intorno alle fabbriche. Il film comunque non prende mai una posizione: andando troppo a fondo nelle singole situazioni si sarebbero create altre condizioni. Io volevo far scaturire una vicenda senza imprimere giudizi. Quando nella vita si fa una scelta non sempre si prende la strada giusta da seguire, si prendono delle strade sulle quali in qualche modo si è costretti ad adeguarci. E' quello che fanno i miei personaggi.


 


Ma il finale sembra rappresentare una speranza:


 


Stefano Mordini: Si può definire un finale di speranza, ma poi dipende anche da come si vuole leggere la realtà di questa coppia. Nel finale Marco corre, non si ferma più, mentre Silvia, per la prima volta nel film, si ferma e attende. E' un finale che dimostra quanto i personaggi siano cambiati: nel corso della loro storia sono cresciuti e si sono ritrovati.


 


 

Il lavoro sui personaggi ha richiesto un impegno particolare da parte degli attori? E in particolare perché Marco è l'unico personaggio sempre felice?


 


Stefano Accorsi: Sì, il mio è un personaggio profondamente felice: non ama stare da solo, ha trovato una donna della quale è innamorato, ha due figli. Si accetta così com'è, non si preoccupa degli altri. Ha una sua libertà mentale. La sua famiglia è una sorta di microcosmo nel quale si sente appagato e sereno. E' un uomo semplice che non si mette a teorizzare le questioni della vita, si ascolta e agisce di conseguenza. Quando ho letto il copione ho da subito trovato la storia molto forte, non capita sempre che dai dialoghi si capisca immediatamente il personaggio. In questo caso invece leggevo il copione e già vedevo muoversi il mio personaggio e quello degli altri. Il lavoro di preparazione fatto a monte è stato importante. Tutto quello che sembra scontato nel film è il frutto di un impegno, di un gran lavoro dietro di tutti quanti.


 


Stefano Mordini: Marco è un personaggio con un unico fantasma: la paura di rimanere solo. E nel film alla fine si ritrova da solo, costretto ad affrontare la paura della solitudine, con tutti i mezzi, forse a volte anche tortuosi, per poi finire con il superarla. Nella vita tendenzialmente si è portati a scegliere le vie più brevi e meno dolorose, non nel mio film. Io comunque ho chiesto a tutti gli attori di interpretare la storia con la massima semplicità, la stessa con la quale i personaggi del film vivevano la loro vita.


 


Valentina Cervi: Inizialmente il mio personaggio lo trovavo difficile, irraggiungibile. Mi sono subito resa conto che invece il personaggio di Stefano era più libero, meno complesso. Il mio rappresentava una donna piena di conflitti. Ho dovuto lavorarci molto sopra, fino a riuscire ad entrare dentro questi conflitti. Sul set Mordini ci ha sostenuto davvero, non si stancava mai, non c'era tempo per fermarsi e lui ci coinvolgeva, ci trascinava nel lavoro.


 


Ivan Franek: Anche io ho trovato da subito il mio personaggio molto bello. E' un marinaio costretto a vivere in un territorio ristretto come una nave, ma con una forte energia, potente come l'acqua. Affrontare questo personaggio mi ha costretto a trovare questa stessa energia dentro di me. Io avevo già girato film italiani ma per questo l'impegno per me è stato maggiore, soprattutto perché è anche il mio primo film in presa diretta in italiano.


 


E' l'unico film italiano in concorso al Festival di Berlino: che sensazione si prova?


 


Stefano Mordini: Quando mi hanno detto di Berlino sono rimasto stupito, non era una situazione che avevo messo in conto. Se è in concorso è perché comunque è piaciuto al direttore del Festival. E probabilmente in questo momento  il cinema italiano non ha prodotto così tanti film da suscitarne lo stesso interesse.


 

Stefano Accorsi: Il rispetto che c'è stato intorno a questo film ha permesso di trovare al film stesso il suo peso, il suo respiro. Ed anche a noi che vi abbiamo preso parte. Sono felicissimo perché so quanto tutti quanti abbiamo contribuito, e per questo a Berlino per sostenerlo andremo in tanti della troupe.

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