EDITORIALE – La politica degli Autori

Scioperano i teatri, protesta il cinema italiano dal palco dei David di Donatello, il clima è quello di sempre, anche se inasprito dal “Decreto Legge Bondi su fondazioni lirico sinfoniche e Cinema”. È un’ossessione, ma meravigliosa speranza, perdersi (tra uno sciopero e l’altro) in un fondale che ha ben poco di realistico, magari di indefinite distese, a parte qualche scorcio urbano

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la politica degli autoriScioperano i teatri, protesta il cinema italiano dal palco dei David di Donatello, il clima è quello di sempre, anche se inasprito dal “Decreto Legge Bondi su fondazioni lirico sinfoniche e Cinema”. Il cinema è sul piede di guerra per i tagli ai finanziamenti statali, e così la serata dei David diventa una fiera di richieste, denunce, allarmi, persino Barbareschi sembra il nuovo affiliato dei “100Autori”, dopo averli in passato, fortemente contestati: “Prendiamo quelli che hanno rubato nell'ultima settimana, gli sequestriamo i beni e li diamo al cinema…”. Stefania Sandrelli apre la serata leggendo la lettera ufficiale dell'associazione costituitasi nel 2007: “Siamo qui per difendere il diritto degli spettatori di scegliere anche il cinema italiano. Siamo qui per pretendere il giusto: che chi realizza enormi profitti con le nostre opere, ne re-investa una parte per realizzare nuovo cinema e nuove fiction”. Giorgio Diritti, trionfatore della serata, è in vena profetica: “Dedico il premio a tutti gli uomini che verranno…”. Marco Bellocchio, miglior regia, è a dir poco infuriato: “Il governo non ci da una lira, siamo a zero, quindi non basta stare qui a chiedere e a pregare”. L'autore di Vincere avrebbe sperato addirittura che si potesse disertare in blocco la cerimonia, come ha fatto d'altronde il Ministro della Cultura Sandro Bondi, ormai perfettamente calato nel ruolo di “ghost writer”, considerando la sua possibile assenza anche a Cannes, invitato dal festival per presiedere alla proiezione di Draquila, di Sabina Guzzanti. Anche Napolitano mette in guardia e pare abbia fretta, salutando velocemente i candidati prima della premiazione, in questi giorni di più importanti e pericolose congiunture continentali, con rischio di contagio. A proposito di contagio, la Russia, il 9 maggio festeggia il V-E Day (Victory in Europe Day). In quello stesso giorno di 65 anni fa, infatti, l’Europa dichiarò sconfitta la Germania e chiusa la Seconda Guerra Mondiale. E quest’anno i russi hanno intenzione di festeggiare alla grande: per la prima volta, nella Piazza Rossa, le loro forze armate sfileranno assieme alle truppe dei paesi Nato (a rappresentare l’Italia, ci sarà anche il nostro Premier, che in quella piazza ci bivacca da qualche anno ormai).

Ma è già scattata la polemica sui poster di Stalin che il sindaco di Mosca vorrebbe affiggere nella capitale per l'occasione. Perfino Putin si dice contrario, ma il mito della Grande Guerra Patriottica in Russia è sacro. Eppure nel frattempo qualcosa sta cambiando sulla visione della storia dei russi, come dimostra la decisione di Medvedev di aprire gli archivi di Katyn (da recuperare assolutamente, sul massacro polacco, il film di Andrzej Wajda, del 2007). Se Mosca si prepara a inscenare una parata multilaterale, in modo che il passo dell’oca si combini con il passo romano, qui in Italia i ballerini andranno in pensione a 45 anni, ci sarà possibilità di autonomia per tutte le fondazioni a condizioni che rispondano ad alcuni requisiti stringenti, ci saranno drastici ridimensionamenti per le future assunzioni, blocco del turn over, nonché la razionalizzazione del sistema di finanziamento statale per lo spettacolo dal vivo. Nel dettaglio, nel testo firmato da Napolitano è stata attenuata una delle parti fonte delle maggiori polemiche: la previsione di riconoscere la Scala e l'Accademia di Santa Cecilia come fondazioni di particolare interesse nazionale, con la conseguenza di attribuirgli margini di manovra più autonomi, è stata cancellata. Ora si parla, più genericamente, di «eventuale previsione di forme organizzative speciali per le fondazioni lirico-sinfoniche in relazione alla loro peculiarità, alla loro assoluta rilevanza internazionale, alle loro eccezionali capacità produttive». Di nomi, insomma, non se ne fanno.
Resta fermo l'intento del decreto legge di mettere ordine nel dissesto finanziario della lirica, con i conti in perenne rosso. Confermate le altre misure: divieto, a partire dal 1° gennaio 2011, delle attività autonome per

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il personale del comparto, che, una volta firmato il nuovo contratto, saranno possibili solo dietro autorizzazione del sovrintendente; blocco del turn over (ma con la novità della deroga per le «professionalità artistiche, di altissimo livello» indispensabili per gli spettacoli); per i posti vacanti, assunzioni a tempo determinato nel limite del 15% dell'organico (a tale proposito, è stata cancellata la norma che faceva decadere tutte le graduatorie nazionali per le assunzioni a tempo determinato); riduzione del 50% del trattamento economico aggiuntivo, frutto della contrattazione integrativa. La lirica è al tappeto, l’unica vera risorsa nazionale, ma che per vivere ha bisogno dei fondi statali. Nello spettacolo gran parte dei finanziamenti pubblici se li mangia l’opera, le risorse vanno quasi tutte lì. La lirica per molti è una sciagura. Qualcuno pensa che bisognerebbe congedarsi dalla lirica, fare qualche dvd e smetterla: è una cosa che non ha più senso fare. Qualcuno pensa che se fossimo ricchissimi potremmo fare di tutto, ma non è così. Rimettere in scena per l’ennesima volta la Carmen è cultura? Così si uccide il teatro contemporaneo. Bisognerebbe tentare strade alternative: per esempio il musical. È l’equivalente dell’opera lirica nel passato. Magari quel musical che anche il cinema italiano potrebbe esportare, auspicando un altro antico contagio, il cinema operistico che fa tanto tricolore e rianima la politica degli autori. È un’ossessione, ma meravigliosa speranza, perdersi (tra uno sciopero e l’altro) in un fondale che ha ben poco di realistico, magari di indefinite distese, a parte qualche scorcio urbano. La presenza di qualche isolato personaggio invischiato nei suoi gesti estremi, il suo tormento espresso in lunghi monologhi (corrispondenti ad arie) e duetti, nell’inverosimiglianza, nei chiaroscuri di sofisticati movimenti di macchina volti a enfatizzare ogni atto (come il passo dell'oca e il passo romano). Sarebbe ancora una volta, almeno per una volta ancora, “cinema di poesia e del bel canto”, degno erede o salvatore di una tradizione operistica destinata per alcuni ad un inesorabile crepuscolo.

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    2 commenti

    • il funerale del cinema italiano lo hanno celebrato i "vecchi" del cinema italiano. Sono almeno trent'anni che si lamentano i vari Bellocchio, Faenza, Montaldo, Lizzani, Maselli, Wertmuller, i Taviani, etc. e numerosi altri l'elenco completo sarebbe penoso ma non si sa perché riescono sempre nell'intento di fare un film. In sinergia con i Centoautori questi "vecchietti" non hanno mai veramente fatto una battaglia sul reference system per l'assegnazione dei fondi ministeriali ai film di interesse culturale nazionale. Anzi hanno lasciato la legge così com'è concepita e quindi ogni volta che presentano un film al ministero prendono i fondi.<br />Uno dice, almeno facessero dei buoni film… invece neanche quello. Sono come i politici che da anni imperversano nella sinistra italiana: intoccabili. Con la sponda di Raicinema che sostiene i loro film mortiferi che fanno rimettere con le loro opere soldi ai produttori. E pensare che quando erano giovani autori, facevano bei film… Che tristezza!

    • marcello ha ragione da vendere, ma personalmente distinguerei il cinema di Bellocchio dagli altri, perchè è di un livello decisamente superiore. Bellocchio ha sempre avuto la forza e originalità di uno sguardo acuto nel suo gioioso "riscrivere la storia", dal Principe di Homburg, passando per Buongiorno notte fino a questo meraviglioso e "lirico" Vincere. Effettivamente la situazione dei finanziamenti alla Lirica in Italia è imbarazzante, ma va anche detto che è un po' uno "specifico culturale" italiano, e forse non si dovrebbe buttare via tutto. Sulla situazione del "triste" cinema italiano sarebbe tempo che Sentieri selvaggi dicesse la sua, invece di limitarsi a coccolare autori minori (Virzì, Soldini, Ozpeteck). Preferivo quando avevate il coraggio di cercare sguardi diversi (Fei, Salani, Santini, Canecapovolto, ma anche Calogero, Winspeare, un po' di Rubini, ecc..). A proposito: che fine ha fatto la vs posizione contro Gomorra e Il divo? Ora li abbracciate Garrone e Sorrentino?