EDITORIALE – Nel ventre della balena

il presidente cileno pinera
La storia dei minatori di San José sembra davvero l’altro 11 settembre cileno, l’avvenimento spartiacque che sconvolge la coscienza collettiva fin quasi ad affondarla, per poi farla rinascere. Ed è proprio su questo desiderio di rinascita che si fonda il racconto del ‘potere’, l’agente del miracolo. Tutto, in questa vicenda, risponde a un discorso spettacolare costruito ad arte dall’apparato istituzionale. Ma scrostata la patina del visibile ‘più esterno’, del riflesso che acceca, rimane un’incredibile storia che è già cinema
--------------------------------------------------------------
CORSO DI SCENEGGIATURA ONLINE DAL 6 MAGGIO

--------------------------------------------------------------
pinera e il messaggio dei minatoriTrentatre minatori sepolti nelle viscere della terra. Un’ottima idea per un film. Forse anche per una grande serie modello Lost. Un successo assicurato. Peccato che ci abbia già pensato la realtà. O magari è meglio, per chi crede che il rischio ‘vero’ garantisca un surplus di emozione. Ma in questi casi, non è affare di matematica. Con le emozioni due più due non fa quattro. Probabilmente non esiste neanche l’addizione. Ma procediamo con ordine, prima di addentrarci in ipotesi e algebra. L’avventura dei minatori cileni, intrappolati in una galleria della miniera di rame di San José, ha appassionato il mondo per oltre due mesi. E a buon diritto. Perché è stata una vicenda straordinaria, una prova di resistenza e di coraggio, che rimanda a un immaginario, ad altre storie e vicende, più o meno simili. Ovviamente la nostra mente corre a L'asso nella manica di Billy Wilder, con il cinico Kirk Douglas che tenta di costruire la sua fortuna di giornalista sulla tragedia di un povero minatore sepolto. La stampa che uccide. Se ne è parlato anche qui. Con sessant’anni di ritardo. Cche esistano alcuni giornalisti pronti a sacrificare ogni minimo sentimento in nome, si dice, della cronaca (che poi è un diritto, con dei limiti, mica un comandamento scolpito su una pietra infuocata) non lo scopriamo certo adesso. Quindi, quell’indignazione per il cinismo dei mass med
--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE UNA SERIE TV DALL’8 MAGGIO

--------------------------------------------------------------
world trade centeria, che ritorna puntualmente ad ogni nuovo fatto di cronaca (vedi esempi ultimi), sembra fuori tempo massimo. Così come fuori luogo appare l’indignazione di certe anime ‘candide’ di fronte all’idea, più volte ribadita, che la vicenda dei minatori della Codelco sia diventata un enorme reality show planetario. Ragionare in questi termini significa confondere rappresentazione e realtà, dentro e fuori, pelle e anima. E’ chiaro che questa storia di minatori di San José sia stata una specie di Grande fratello. Trentatre uomini costretti a una coabitazione forzata per settimane, sotto l’occhio dei media, con l’attenzione del mondo puntata e i familiari in ansia all’uscita, è un reality. Piaccia o no. E’ una pura e semplice costatazione, che nasce dall’evidenza, cioè dal modo in cui l’evento si mostra pubblicamente. E’ chiaro che la forma influisce sulla percezione e sui meccanismi di interpretazione, ma questo è un altro problema. Che riguarda, semmai, proprio il punto di partenza. Vedere le cose sotto questa luce, cosa comporta? Qual è il nostro grado di comprensione e immedesimazione in un avvenimento trattato come un reality? La somma e l’accumulo danno più emozioni? Seguire le vicende dei minatori attraverso le luci sempre troppo accese dei riflettori è più coinvolgente e toccante dei venti, trenta minuti di claustrofobia di World Trade Center? O, magari, più scioccante dei racconti dei sopravvissuti a un terremoto? Dov’è il buio in questa storia? La zona d’ombra, il mistero? A un certo istante, si è insinuata la sensazione che tutto avvenisse a una distanza siderale, al punto che le luci artificiali del miners on the mooncampo operativo sembravano quelle di un’altra gelida, impossibile base lunare. E, presi da questa sensazione, ci siamo lasciati sfuggire, forse, l’immagine più interessante. Il presidente Sebastian Pinera che, in perfetta tenuta da soccorritore, dà il via alle operazioni di recupero al grido di vamos, vamos, chilenosWorld Trade Center non a caso. Perché questa storia sembra davvero l’altro 11 settembre cileno, l’avvenimento spartiacque che sconvolge la coscienza collettiva fin quasi ad affondarla, per poi farla rinascere. Ed è proprio su questo desiderio di rinascita che si fonda il racconto del ‘potere’, l’agente del miracolo. Tutto, in questa vicenda, risponde a un discorso spettacolare costruito ad arte dall’apparato istituzionale. Sin dai minimi segni. Così il campo fuori la miniera diventa Campo Esperanza, la capsula di salvataggio è ribattezzata (ovviamente) Fenix e decorata, solennemente, con i colori della bandiera. E poi la retorica di Pinera/Michael Shannon, marine salvatore, “Costruiremo un memorial affinché questa impresa, questo salvataggio, rimanga per sempre tra noi e ci guardi come esempio nel futuro”. Esempio nel futuro? Già si pensa alla seconda edizione? Ecco. La disavventura è passata in secondo piano, la tragedia possibile è stata messa definitivamente fuoricampo, per lasciar l’intera inquadratura alla politica che si autocelebra. E il fatto che le tecnologie siano state messe a disposizione da aziende americane e cinesi non è che un altro segno della forza e della giustizia della globalizzazione. Il Cile, con questa storia, si offre allo spettatore come un paese all’avanguardia, aperto alla modernità e all’esterno, pronto a ogni evenienza. Rinsalda il suo legame con il popolo e con il mondo. E passa sotto silenzio, almeno per il momento, i costi, le vittime e le macerie. Pura società dello spettacolo, al grado massimo. Ma è un altro abbaglio. Scrostata la patina del visibile ‘più esterno’, del riflesso che acceca, rimane un’incredibile storia che è già cinema. Uno scampato disaster movie  intessuto di simboli affascinanti: il ventre della balena, la discesa nella caverna più recondita e la svolta, la risalita definitiva, rinascita “hi-tec” dell’eroe. E che muove l’immaginario. Trentatre minatori die hard, duri a morire nonostante tutto. E pronti a risalire dal buio, alla luce. Come qualsiasi immagine. Finalmente nel cuore dell’inquadratura.
--------------------------------------------------------------
CORSO ONLINE SCRIVERE E PRESENTARE UN DOCUMENTARIO, DAL 22 APRILE

--------------------------------------------------------------

    ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER DI SENTIERI SELVAGGI

    Le news, le recensioni, i corsi di cinema, la riviste, i libri, gli eventi e tutte le nostre iniziative


    Array

    Un commento