Edna, di Eryk Rocha

A metà tra cinema lirico e militante, in cui le immagini stesse scrivono la loro propria ontologica esistenza per un cinema che serva a scrivere un’altra storia. PesaroFF57

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Le immagini asciutte e dure di Eryk Rocha sembrano ancora di più segnare il volto di Edna, una donna guerrigliera dell’Amazzonia, una combattente di questa foresta ancora una volta violentata da un’espropriazione selvaggia per farci passare l’autostrada che la taglia a metà. Edna, conosciuta come Dina, vive nel Parà che è un cuore vivo di questo luogo che come il suo corpo porta i segni di quella lotta che almeno dal 1975 prosegue per difenderla da ogni aggressione, da quelle espropriazioni che la vogliono distrutta. Eryk Rocha – che porta un nome importante e non facilmente evitabile se si parla di cinema brasiliano – con Edna sembra tornare a quel cinema militante che infiamma i cuori ed entra nel vivo di quei sentimenti che appartengono a chi ha posto la propria vita al servizio di una causa senza troppi ripensamenti, senza troppi rimpianti. È con questo sguardo che Rocha entra nel commovente ed emozionante mondo di Edna, oggi anziana testimone di un passato, ma ancora protagonista di un presente che, con il dolore che provoca il ricordo, dissemina i segni di quel passato, che attraverso la sua stessa esistenza diventa materia viva per chi abbia il desiderio di dare continuità a quella testimonianza. È forse per questo che Edna riempie i suoi diari di ricordi, li riempie di quella scrittura fitta che non concede spazio al tempo, facendolo diventare tutto contemporaneo, che non concede spazio al pensiero, che resta quello della difesa di un mondo ideale, di una foresta impenetrabile, di un luogo che affida la sua bellezza a quella stessa potenza del suo esistere. Rocha lavora su un bianco e nero evocativo, su una incursione del colore per sottolineare le tracce di una memoria che non deve perdersi a cominciare dalla povera vita di Edna, ultima di sette figli cresciuti senza padre, fuggito da casa quando sua madre era ancora incinta di lei.

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A metà tra cinema lirico, di cui assorbe l’impianto generale, e quello militante, del quale assume la forma, Edna appartiene a quella categoria di film in cui le immagini stesse scrivono la loro propria ontologica esistenza, appartenendo di diritto a quell’ipotesi di cinema che serve a scrivere un’altra storia, quella che si alimenta dello sguardo dei perdenti, ma anche di chi, con caparbia volontà che l’età non sembra potere cancellare, decide che non ci sia altra ragione per cui vivere se non quella di combattere la violenza. È questo cinema che sa costruire il reale anche attraverso una forma di sognante immaginazione, a diventare forma e scrittura alternativa della storia, sapendo disegnare quell’altro reale che possa svelare le pieghe nascoste dei fatti, i sentimenti repressi che nessuna galera può cancellare. Edna, che ancora combatte la sua battaglia, ha visto la galera e ha subito violenze, ma la sua vita resta viva e i suoi desideri intatti. Rocha costruisce un film che tende i suoi estremi tra un vivo presente e un passato incancellabile, resta addosso al corpo segnato della sua protagonista esponendo i tratti di una fisicità appesantita dagli anni, ma affida tutto ad una liricità sospesa, che diventa la linea di confine di un privato che si consuma ancora in discussioni sul senso dell’amore, con quello che oggi è il suo compagno di vita, e quelle ossessioni dolorose di un passato che con i suoi fantasmi popola ancora la sua esistenza. Edna forse non ha la forza di diventare un simbolo, ma possiede quel cuore vivo e palpitante, quel cuore che si getta al di là di ogni ostacolo contro l’oppressione e contro ogni abuso, restando negli anni intatto e vincente, indomabile e mai rassegnato.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3.5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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