Efebo d’oro 2019 – Carmilla, di Emily Harris

In concorso, Carmilla è la rivelazione di un grande talento estetico che nasconde dietro la storia di vampiri la lotta dell’adolescenza tra paura che una cosa accada e desiderio di abbandonarcisi

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La storia vampiresca di Joseph Sheridal Le Fanu ha visto nel corso del tempo una serie di innumerevoli trattamenti tra cui ricordiamo il seminale Vampyr (1932) di Dreyer e il riadattamento Il Sangue e la Rosa (1960) di Roger Vadim. Dopo il primo lungometraggio Paragraph del 2015 codiretto con Jonathan Bentovin, Emily Harris mira molto in alto confrontandosi con una pietra miliare della letteratura dell’orrore.
Nell’affrontare il testo la regista inglese asciuga la componente metafisica, amplia le corrispondenze saffiche tra le due ragazze protagoniste Carmilla (Devrim Lignau) e Lara (Hannah Rae già apprezzata nella serie tv Broadchurch) e gioca magistralmente con le luci e le ombre grazie al grande lavoro del direttore della fotografia Michael Wood. Alla grande luminosità degli esterni, quasi soffocante nel verde del prato e della vegetazione della tenuta inglese ottocentesca si contrappone la luce naturale delle candele che fa emergere dal buio visi e corpi come in una epifania pittorica. Il rigore delle inquadrature e la macchina da presa spesso fissa rimanda ad un clima soffocante fatto di regole, di imposizioni, di ricatti.

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Lara è una quindicenne che si affaccia con curiosità ai misteri del proprio corpo e della natura: è mancina, ruba dei libri di anatomia dal padre ed è attratta dalle stranezze e mostruosità del mondo degli insetti. Questo clima da sacra inquisizione è ben concentrato nella figura della istitutrice Miss Fontaine (Jessica Raine) che chiude tra i lacci stretti di un corsetto le aspirazioni e i furori della giovinezza. L’ordine e la disciplina portati all’esasperazione nascondono segreti e peccati inconfessabili. Quando una notte irrompe nella quiete della tenuta la mefistofelica Carmilla il processo di evitamento e rimozione del materiale subcosciente fallirà miseramente portando ad un abbandono erotico e liberatorio.
Emily Harris si sofferma sugli sguardi prima timidi e poi complici delle due adolescenti e fa dialogare i corpi con i silenzi, le pause, le ombre. Le divagazioni oniriche spesso preannunciano quello che avverrà in futuro, materializzando nomi (Carmilla), visi maschili (il mago illusionista) e corpi sanguinanti (il patto tra le due fanciulle). Sotto la apparenza di una bellezza quasi angelica si nasconda una forza erotica cui è impossibile resistere: i petali delle rose divorati dagli insetti e il brulicare di vermi che emergono dalla terra come in incubo lynchiano rimandano a questo aspetto ambivalente tra Natura e Grazia.

Emily Harris lavora anche sul sonoro amplificando il ronzio di mosche e api, lo strisciare di coleotteri e bruchi, la putrefazione dei cadaveri in decomposizione.
Tra le scene più riuscite del film il primo incontro delle ragazze e la passeggiata notturna nel bosco (Venere emerge dalle acque), il loro amplesso interrotto dall’irruzione dell’autorità repressiva e la lunga attesa della istitutrice Miss Fontaine a colazione con piccoli tic e impercettibili movimenti che rivelano un sottofondo nevrotico sempre più crescente.
In concorso per L’Efebo d’Oro, già presentato con successo al Festival di Edinburgo, Carmilla è la rivelazione di un grande talento estetico che nasconde, dietro il sottotesto di una storia di vampiri, la quotidiana lotta dell’adolescenza tra la paura che una cosa accada e il desiderio irrefrenabile di abbandonarsi ad essa.
Tutte le strutture e sovrastrutture della civiltà non riescono a soffocare questa forza istintuale che porta dentro di sé una pulsione di morte.
L’ultima sequenza del film rimanda a Tarkovskij e allo specchio di una identità svelata proprio di fronte ai cerchi concentrici di una pietra nell’acqua.

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