Eismayer, di David Wagner

Tratto da una storia vera, il racconto del coming out del marziale sergente austriaco Eismeyer è troppo schematico nella sua progressione e tenero verso i suoi protagonisti. Settimana della Critica.

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Il sergente maggiore Eismayer (Gerhard Liebmann) addestra le truppe dell’esercito austriaco con pugno di ferro e metodi marziali malvisti dai suoi superiori e dalle stesse giovani reclute. Ad inizio anno arriva ai suoi ordini un giovane bosniaco dichiaratamente gay, Mario Falak (Luka Dimic), che mette presto in crisi il suo superiore: Eismayer infatti nasconde la sua omosessualità non solo all’esercito per cui presta servizio ma perfino alla moglie (Julia Koschitz) e al bambino che hanno insieme.

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Tratto da una storia vera, Eismayer è l’esempio perfetto dei pregi e dei difetti del cinema queer. Se da una parte infatti è evidente come il buon esempio di questa storia, iniziata nella pavida menzogna pubblica del sergente maggiore e finita con un’appassionata dichiarazione – presagio della futura unione civile tra i due ufficiali – è un tassello, volutamente piccolo ma necessario, all’interno delle battaglie di genere, dall’altra il suo pedagogismo morale ne limita le ambizioni. La cura formale del racconto giunge, senza incertezze nel cammino, ad una progressione drammatica che indubbiamente sazia l’occhio ed accarezza il cuore ma lascia freddo il cervello: che ne è del contesto socio-politico in questa storia che ha bella metafora (lo scavalcamento del muro che puntella i passi più significativi del lungometraggio) e poca realtà al suo interno?

Come se faticasse ad uscire dall’enclave della caserma e dalla necessità del messaggio, Wagner chiude militarmente a testuggine il suo racconto non lasciandolo colpire dagli influssi esterni. E così lo spettatore è chiamato a partecipare alla gioia del tardivo coming out del sergente maggiore ma non alla condanna della precedente ipocrita scelta di vita che ha distrutto la vita della donna che l’aveva sposato. Delle tensioni pubbliche che l’hanno costretto a questa dolorosa e lunga finzione nulla traspare, se non da qualche velato accenno all’imposizione della carriera militare per raddrizzare la stortura sessuale manifestatasi da bambino: nel film perfino nell’istituzione più notoriamente maschilista e omofoba c’è un livello di accettazione così grande che, fosse vero, sarebbe da prendere a modello per le normative italiane ed europee. Bisogna allora accontentarsi del bel modo di filmare i momenti di intimità, ritratta con la giusta vicinanza sentimentale: dalle cure affettuose di Mario nei confronti di Charles al sensazionale stacco di montaggio che passa dal primo bacio rubato nel bagno della caserma all’amplesso nella casa.

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
3
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Il voto dei lettori
5 (1 voto)
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