Elegia americana, di Ron Howard

Ron Howard infonde empatia e autenticità in una storia di formazione dai presupposti scontati. Il film vive sul suo sguardo ingenuo e sulle interpretazioni di Glenn Close e di Amy Adams. Su Netflix

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Il giudizio su Hillybilly Elegy è in larga parte vincolato alla spontaneità o alla malizia del suo punto di vista marcatamente naive. La trasposizione cinematografica del romanzo autobiografico di J. D. Vance è un inno alla declinante visione reaganiana del sogno americano. Lo scrittore è una testimonianza vivente di questo mito in declino: si è laureato a Yale nonostante fosse partito da una modesta cittadina operaia dell’Ohio. Tuttavia, nemmeno questa coincidenza tra l’eroe e l’autore toglie definitivamente il dubbio su una possibile astuzia del film. Del resto, non sono mai state chiare nemmeno le intenzioni di una certa corrente del partito repubblicano sull’argomento. La difesa dei solidi valori della working class delle montagne è un fine o un mezzo per controllare un elettorato fedele? L’unica garanzia attendibile di sincerità è la perfetta sintonia tra questo punto di vista e alcuni dei nuclei tematici preferiti di Ron Howard.

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Il patrocinio del cineasta eleva Hillybilly Elegy dal grande mucchio delle storie one-in-a-million-shot. Il best-seller era diventato un fenomeno editoriale dopo essere entrato nel dibattito politico. La descrizione di un gruppo demografico abbandonato economicamente ma corteggiato da tutte le campagne elettorali aveva aperto di nuovo la questione della vecchia america. La triste decadenza dei centri urbani nati intorno alle acciaierie e alle miniere di carbone resta ovviamente sullo sfondo del film. Tuttavia, la sua preponderanza serve più a determinare la natura di un carattere che non a solleticare la nostalgia per una nazione grande ed operosa. Semmai, la dedizione al lavoro ha forgiato un’attitudine alla vita che si adatta naturalmente a quella del regista.

Il film inizia con la voce off di un predicatore che lamenta la progressiva fine della solidità familiare e del progetto americano. Il flashback sulle vacanze estive del protagonista nella terra natia del Kentucky è esemplare di quello che sarà il suo approccio alla scalata sociale. I suoi nonni e i suoi genitori ritornano alla loro casa nell’Ohio e sono sollevati di essere ritornati alla civiltà. La sua carriera da outsider a Yale è costellata da continue ironie sulle sue origini di redneck e sul suo accento marcato e poco elegante. Così, il suo rapporto con il passato oscilla sempre tra il rispetto assoluto della sua famiglia e la necessità di andare oltre i suoi limiti e i suoi peccati. Un sentimento conflittuale di fuga e di identità che ha ereditato dai suoi parenti e dalla quale non riesce a separarsi. I presupposti di una storia di formazione sono solidi ma non sono molto diversi da quelli di centinaia di vicende simili.

Forse, la tensione drammatica è inevitabilmente smorzata dal fatto che il suo esito finale non è mai messo in dubbio. La parte più debole del film è proprio il finale, con il suo goffo tentativo di dare ritmo ad una conclusione scontata. Tuttavia, Ron Howard riesce comunque ad arricchire una storia che purtroppo non viene mai messa in discussione. La sua capacità di riempire ogni scena con una forte carica di empatia è invidiabile anche perché si mantiene sempre sobria. Del resto, molti elementi del film si ritrovano continuamente nella sua lunga attività di cineasta. L’attenta analisi delle dinamiche familiari e generazionali sono il suo pane quotidiano sin dai tempi di Parenthood (1989). La sua predilezione per i bravi ragazzi coincide addirittura con la sua prima vita di attore ai tempi di Happy Days.

La tentazione di abbandonare i solidi valori rurali davanti al cinismo della corsa al successo ritorna ciclicamente nel suo cinema. La situazione archetipica è stata declinata il più delle volte sotto la forma della commedia mentre Hillybilly Elegy si prende molto sul serio. Il film inizia addirittura con la sfacciata citazione steinbeckiana di una tartaruga che attraversa la strada. Il suo carapace è danneggiato ma non può vivere senza la protezione della sua casa e la sua natura gli permette di ripararla. Ron Howard è meno diretto e la sua tela di relazioni viene tessuta da sguardi e da primi piani che rivelano la doppia anima dei personaggi. Il loro rimpianto per non essere riusciti a fare abbastanza per proteggere e la loro speranza di permettere a qualcuno di famiglia di farcela.

Il suo cinema ha bisogno di un reciproco sostegno con gli attori e Glenn Close e Amy Adams regalano un’interpretazione perfettamente centrata. L’idea di un protagonista forgiato dall’amore e dalla debolezza di due donne viene portata avanti senza esitazione dal loro talento. La loro presenza sullo schermo regala delle emozioni autentiche e il giovane Owen Aszlatos deve solo vivere di rendita. I loro picchi non vengono corrisposti da Gabriel Basso e da Frida Pinto, molto più in linea con la piattezza della distribuzione televisiva. Ron Howard non riesce a far uscire del tutto Hillybilly Elegy dall’anonimato in cui si era autoconfinato. Alla fine, la linearità della sua tesi lo condanna ad essere un’occasione sprecata, come tante delle vite suburbane a cui voleva rendere omaggio.

 

Titolo originale: Hillybilly Elegy
Regia: Ron Howard
Interpreti: Gabriel Basso, Amy Adams, Glenn Close, Haley Bennett, Freida Pinto, Bo Hopkins
Distribuzione: Netflix
Durata: 115’
Origine: USA, 2020

 

La valutazione del film di Sentieri Selvaggi
2.5

Il voto al film è a cura di Simone Emiliani

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Il voto dei lettori
3.41 (37 voti)
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