Elemental, di Peter Sohn
La Metropolis della Pixar in un’esplosione di colori, geometrie, prospettive che trova l’equilibrio giusto tra la parte grafica sempre più impressionante e la storia dei protagonisti. Film di chiusura
La Metropolis della Pixar. Element City è un’esplosione di colori, geometrie, prospettive. C’è l’immaginazione dei décor sfarzosi ricostruiti in studio nella Hollywood tra gli anni ’20 e ’50. Ma c’è anche la visione della città del cinema che racconta storie di immigrazione e di esclusione, ma anche il sogno americano. Ember è la ragazza di fuoco, Wade il corpo d’acqua. Lei è l’unica figlia di una famiglia d’immigrati. I genitori hanno fatto di tutto per regalarle un futuro migliore e lei è pronta a rilevare l’attività di famiglia. Ha un carattere particolare ed è pronta a ‘infiammarsi’ quando si arrabbia. Conosce Wade quando, per una sua disattenzione, scoppiano le tubature del negozio di famiglia perché non sono a norma. Lui è un coetaneo espansivo e solare che non si fa problemi a manifestare le sue emozioni. Malgrado la loro diversità, Ember e Wade riusciranno ad innamorarsi.
Elemental è ispirato alla storia biografica di Peter Sohn, al suo secondo lungometraggio per la Pixar dopo Il viaggio di Arlo; i suoi genitori sono emigrati dalla Corea all’inizio degli anni ’70 e hanno aperto un negozio di alimentari nel Bronx. E le tracce personali entrano nel film non tanto a livello di trama ma nel modo in cui fa avvertire la voglia ma anche le difficoltà di sentirsi parte di un altro paese. Dietro gli elementi di acqua, aria, terra, fuoco c’è un cinema che parla più lingue diverse, non fatto di tensioni ma di tentativi continui di dialogo. La storia può apparire anche fin troppo semplice, ma anche se la Pixar non ritrova le atmosfere magiche di Soul, riesce a mettere a fuoco il legame fisico con la città proprio come aveva fatto Luca con la Liguria. L’elemento nostalgico/fantastico passa in secondo piano rispetto all’azione fatta di allagamenti, corse in moto, inseguimenti nascosti come quello della madre di Ember. Ma il cuore di Elemental è proprio nei due protagonisti e nel legame con le proprie origini. Il saluto finale è trascinante e ne riscatta uno mancato del passato. Ma è soprattutto il rapporto tra Ember e Wade che cresce alla distanza. La scena in cui lei cerca di togliergli un granello di sabbia nell’occhio mostra insieme il desiderio e l’impossibilità di potersi toccare, che è l’idea centrale che attraversa tutto il film e che viene sviluppata con intelligenza nel modo in cui vengono messe a fuoco le emozioni dei protagonisti. E sotto questo aspetto resterà uno dei passaggi Pixar che racconta le diverse fasi della vita. Dopo la vecchiaia di Up e la morte di Coco, c’è l’amore a (circa) vent’anni. Come negli altri due film si entra in una dimensione parallela. Elemental non raggiunge il livello degli altri due film, ma nessuno gliel’ha chiesto. Ma trova l’equilibrio giusto tra la parte grafica/visiva sempre più impressionante, l’approfondimento dei personaggi e nasconde più storie (personali, cinematografiche) dietro quelle che vengono mostrate. Ed esalta proprio la bellezza della diversità. Alla fine, niente è impossibile.