Elezioni USA 2020: You never got me down, Ray

Il virus è entrato nella campagna elettorale ma non ha fermato il potere di Donald Trump di condizionarla. I democratici di Joe Biden sono terrorizzati, mentre giungono i primi risultati del voto USA

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La campagna elettorale del 2020 è stata contrassegnata da due cifre che non hanno mai abbandonato i candidati nel loro percorso verso l’election night. La prima è quella aggiornata quotidianamente delle vittime del COVID-19. Un numero cresciuto in modo direttamente proporzionale all’ostinazione con cui Donald Trump ha cercato di rimuoverlo. La seconda è la data delle sorprendenti e traumatiche elezioni del 2016. Ci sono stati centinaia di sondaggi chiaramente favorevoli a Joe Biden negli ultimi mesi. Tuttavia, nessuno di essi è riuscito a rimuovere dalla memoria dei democratici l’incubo dell’8 novembre di quattro anni fa.

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Il paradosso è che la pandemia e le frequenti rivolte razziali che hanno accompagnato il dibattito avrebbero dovuto stroncare le ambizioni di rielezione di Donald Trump. Invece, hanno favorito quell’humus caotico che è da sempre il terreno in cui il presidente si muove meglio. A cosa serve minacciare di non riconoscere il risultato elettorale, paventare il rischio di brogli e di frodi del voto postale, soffiare sul fuoco delle tensioni con gli afroamericani, invitare le milizie suprematiste e paramilitari a stare in guardia? A seminare il caos, appunto. La strategia del presidente è stata di ficcarsi dentro tutte le trappole che un altro candidato avrebbe evitato. Tutto, purché non si parlasse del COVID-19.

La resilienza di Donald Trump ha superato anche il più grande colpo di scena di tutta la campagna elettorale. La malattia è entrata dentro la Casa Bianca al punto che ci si è anche chiesti se non fosse il caso di iniziare le procedure di transazione dei poteri. La sua breve degenza al Walter Reed ha cancellato per giorni la sua tattica di tenere il virus lontano dal dibattito. Il presidente ha superato anche questo colpo apparentemente fatale per le sue speranze di vittoria. La sua retorica lo ha assorbito a suo vantaggio come tutti gli scandali che avevano cercato di affossare la sua candidatura nel 2016. Io l’ho sconfitto e lo sconfiggerete anche voi.

Tuttavia, la pandemia ha inevitabilmente cambiato le regole elettorali. L’incentivo al voto anticipato e a quello postale ha aumentato notevolmente l’affluenza. Donald Trump ha mobilitato gli avvocati per impedirlo, poi ha cercato di vietare che le schede venissero contate oltre la scadenza elettorale. Alla fine, ha usato i numeri insolitamente alti dei votanti come cortina di fumo per spaventare di nuovo i democratici. La maggioranza silenziosa si sta mobilitando! Gli shy voters che nel 2016 fuggirono dalle indagini demoscopiche stanno accorrendo in massa per bloccare l’ennesima truffa dei liberali! I democratici si affannano a studiare i numeri contea per contra: sono i nostri che si ribellano alla sua arroganza e vogliono mandarlo a casa o ha ragione lui?

Joe Biden ha messo nero su bianco la questione che dovrebbe convincere tutti gli elettori americani a scaricare Donald Trump: chiunque fosse responsabile della morte di così tante persone non dovrebbe restare presidente. L’affermazione è così comprovata dai bollettini quotidiani che non ci sarebbe nient’altro da aggiungere. Eppure, tutti sanno che in questo caso non vale: il rapporto tra il presidente e il suo popolo è fideistico. Nessuna evidenza scientifica e nessun record sul numero delle vittime potrà mai scalfirlo. Il virus può minare le sue possibilità ma non potrà mai annullarle come la logica imporrebbe di pensare.

Nate Silver è il più seguito analista elettorale americano e le sue previsioni statistiche sono la bussola a cui si affidano quelli che vogliono districarsi nel labirinto demografico che condiziona le elezioni. Un suo articolo di pochi giorni fa si domandava come i media attuali avrebbero trattato le elezioni del 1984. Ronald Reagan aveva consolidato un vantaggio così ampio su Walter Mondale da spingere i giornali a scommettere solo su quanti stati avrebbe conquistato (furono quarantotto su cinquanta). Un sistema mediatico più disarticolato e pervasivo di quello di quei tempi sarebbe riuscito a costruire una corsa più avvincente? Sarebbe riuscito a rendere credibile una rimonta inesistente?

La media di tutti i sondaggi ha mostrato una delle corse più stabili degli ultimi decenni: il vantaggio di Joe Biden non è mai sceso sotto ai sette punti e la sua posizione è competitiva persino in Texas. Questa contesa elettorale assomiglia più a quella del 1984 che a quella del 2016. Eppure, anche Nate Silver mette le mani avanti: i sondaggi non sono voti e il presidente potrebbe riottenere il mandato anche perdendo il voto popolare. La notte di quattro anni fa resta viva anche nella memoria di chi ha trasformato la cieca fiducia nei numeri in un lavoro.

La piccola risalita di Donald Trump in alcuni sondaggi viene attribuita all’improvvida dichiarazione del suo rivale sul fracking. Questa tecnica di estrazione del petrolio incide molto sull’economia di uno stato in bilico come la Pennsylvania. In realtà, l’impercettibile recupero è indotto da alcune componenti psicologiche che i suoi raduni scatenano nell’opinione pubblica. Il presidente era dato per spacciato fino a quando non ha iniziato a radunare di nuovo le enormi folle che seguono i suoi comizi. Un sospiro di sollievo accolse il fallimento della sua prima grande adunata a Tulsa. La speranza era che forse quest’anno il virus le avrebbe fermate. La quarantena del presidente gli avrebbe impedito di organizzarle. E invece no.

L’effetto ottico delle folle con il berretto rosso e le loro ovazioni scatenano incubi distopici nei democratici. Le dirette ininterrotte su Fox News delle sue invettive contro i politici, i rivali, le sue minacce di manovrare la Corte Suprema tolgono il sonno ai suoi nemici. Donald Trump sta bluffando oppure può veramente vincere e poi fare tutto quello che sta promettendo? I sondaggi sono un’ancora di salvezza ma basta seguire una discussione su Twitter per percepire il terrore che cala tra i fan di Joe Biden. È sufficiente il primo troll repubblicano che gli ricorda un’altra evidenza: anche le previsioni del 2016 erano sbagliate e i trumpers amano mentire ai sondaggisti per seminare il caos.

Queste immagini riefenstahliane galvanizzano tutto l’environment repubblicano. Joe Biden è un codardo perché si è chiuso dentro il suo basement rifiutando lo scontro senza quartiere. In realtà, il suo messaggio doveva essere diametralmente opposto. Il suo personaggio era quello del vecchio signore saggio che rispetta le regole come ogni buon americano. La sua immagine sta cercando di conquistare il voto degli ultrasessantenni in Florida. Eppure, anche lui alla fine si è rassegnato ad inseguire Donald Trump ed è uscito ad organizzare dei rally. Tuttavia, sul palco è poco più di una spalla perché un uomo qualunque non reggerebbe l’inquadratura. L’ultimo mese di campagna elettorale è stato condizionato dal grande ritorno di Barack Obama.

È stata una mossa azzeccata sfidare il presidente sul suo stesso campo della presenza scenica? La sfida tra i due mattatori è sempre sembrata ineluttabile. Il divieto del terzo mandato consente di metterla in scena solo per procura. Hillary Clinton era convinta di essere abbastanza grande da non avere bisogno del suo aiuto. Joe Biden si è rassegnato ad accettare che anche questa elezione sposasse la narrativa più amata dal pubblico americano. L’eterna lotta tra il Bene e il Male che negli Stati Uniti va avanti dai tempi del Mayflower. Noi spettatori interessati e periferici possiamo solo aspettare lo spoglio dei voti per capire quale dei due eroi avrà vinto. Gli Stati Uniti hanno deciso di essere amati oppure temuti?

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