Elf Mal Morgen: Berlinale Meets Fussbal, di Autori Vari

Presentato al Trieste Film Festival, è un riuscitissimo documentario collettivo commissionato dalla Berlinale che, negli undici corti, racconta storie di inclusione sociale fatte attraverso il calcio

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Un progetto su commissione deve avere una idea di base che sia allo stesso tempo forte ma malleabile. Se a complicare questo assunto interviene il fatto che qui stiamo parlando di un documentario collettivo affidato a undici studenti di cinema, in questo caso dell’Università della Televisione e del Cinema di Monaco di Baviera (HFF München), il lungometraggio rischia di affondare sia per l’acerbità di sguardo che per l’eccessiva eterogeneità. E invece andando contro i più foschi presupposti, questo Elf Mal Morgen: Berlinale Meets Fussbal, presentato in anteprima italiana al Trieste Film Festival dopo il suo passaggio al Festival di Berlino nel 2024, riesce ad essere un bell’oggetto di studio su alcune delle forme più sane ed etiche di partecipazione che il calcio, lo sport più praticato e seguito nella vecchia Europa ma avvolto in una crisi mitopoietica da decenni, riesce ancora a veicolare.

Nato all’interno del contributo che la Berlinale ha dato al programma culturale del Campionato europeo di calcio, ospitato dalla Germania nel 2024, il documentario segue infatti undici (come i componenti di una squadra) team giovanili molto diversi tra loro. La scelta di puntare la MdP soltanto verso le realtà amatoriali composte da, in alcuni casi, trattatori di pallone che vanno sotto anche la linea di galleggiamento del dilettantismo sposta allora il focus verso l’inclusività sociale di cui queste squadre si fanno carico. Il primo corto è, da questo punto di vista, perfino radicale perché nei suoi dieci minuti di durata mostra soltanto le splendide bambine dell’ FC Internationale Berlin 1980 mai durante le azioni di gioco ma esclusivamente in rituali come la stretta di mano con le avversarie, le riunioni motivazionali nello spogliatoio e gli allenamenti. Il calcio dei divi del pallone è qui distanti anni luce, appena evocato in qualche diatriba adolescenziale o ridotto ad oggetto di scambio come in N3yamar, quando il bambino ucraino in fuga dalla guerra diventa un vero membro del K. S. Polonia Hamburg 1988 appena fa capolino tra le sue mani la figurina dell’omonimo funambolo brasiliano.

Lo sport che la Berlinale sceglie di incontrare è quindi quello dei piccoli centri e perfino, nell’illuminante Es wäre ein anderes Meer, quello della minoranza soraba che in Sassonia si vede ridurre gli spazi di aggregazione, come scuole e, ovviamente, la squadra di calcio della slavofona SG Crostwitz 1981 di cui il ragazzo protagonista vuole continuare a fare parte nonostante i tentativi di inglobamento in una lega teutonica e che si chiude con un coraggioso: “Non riusciranno a mandarci via né dalla Germania né dal campionato regionale“. Molto spazio nel documentario – cinque corti su undici – è riservato anche allo sport di genere con lavori che ritraggono giovani donne islamiche che fanno della loro religione il collante motivazionale per battere le avversarie o, più semplicemente, usano il pallone come il più universale cuneo di integrazione per sconfiggere i fantasmi di un’emigrazione imposta da difficili contesti socio-politici. Se il calcio, in Germania come altrove, ha un futuro è quando si ricorda di tutti quelli che non vogliono farne un mestiere classista


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